Impressioni
sul convegno "La rivoluzione intersoggettiva. Le implicazioni per la psicoanalisi e la psicoterapia"
L'ho sentito un convegno
tra passato e futuro, durante il quale ho avvertito il senso di
comunità come i personalismi dei singoli.
E' stata una occasione
nella quale è emerso il desiderio di conoscere la figura di
Benedetti che riecheggiava con affetto in alcune presentazioni, a
partire dalle prime parole di Maggioni, in cui ne ha accennato la
passione e l'instancabilità della pratica psicoanalitica fino ad
arrivare alle parole di affetto e referenza nell'intervento di Elia:
è una sensazione strana avvertire come dietro un maestro ce ne sia
sempre un altro.
Un
convengo dal passato al futuro, una psicoanalisi che da un punto
tende ad un altro, questa tensione è un asse che si avverte in tutte
le presentazioni, dal descrivere il passaggio da una psicoanalisi del
conflitto a una del deficit, dalla teoria alla clinica,
dalla neutralità alla relazione come praxis. Una psicoanalisi
in tensione tra ricordo e futuro e che vuole essere in un mutamento,
guarda fuori dalla finestra alla ricerca di una alterità con
la quale rinnovarsi.
Se
un asse del convengo è stata questa tensione di mutamento che,
citando le suggestive parole di Gallese, poggia sulla possibilità
linguistica della negazione, “il motore cognitivo di quello che
siamo, costantemente insoddisfatti di quello che abbiamo”, un
secondo è stato quello che si può riferire alla domanda sulla
propria identità. Suggestivo è stato l'intervento di Torres nel
descrivere le vicissitudini di chi è messo di fronte alla scelta fra
il negare la propria identità e rischiarare di essere guardato con
sospetto ed escluso, come gli
ebrei spagnoli che scelsero di convertirsi per rimanere in Spagna
oppure scegliere per l'esilio e la dimenticanza dei Sefarditi.
La
paura della perdita dell'identità della psicoanalisi, ne ho sentito
il riverbero, in una questione che più volte è balenata
nell'uditorio, ha senso cercare di portare il linguaggio
psicoanalitico all'interno dei fenomeni fisico-biologici del
cervello? Si può cercare un referente fisico, riducendo l'Io e l'Es
ai neuroni, o si rischia di creare il dato e di fare dell'immagini di
fMRI una realizzazione del desiderio? Paura di snaturare il senso
della propria disciplina in questo incontro, paura che riemergeva
anche nelle parole di Gallese che ammoniva dal porre una sconsiderata
fiducia nelle neuroscienze, per prevenire una reazione di
restaurazione, da parte di chi vorrebbe arrivare alla conclusione che
è inutile porre domande al cervello in quanto è un organo troppo
complesso per fornirle.
Mi
permetto di andare di libera associazione su questi due giorni in cui
si sono susseguiti interventi e personalità, voci e discorsi diversi
e non posso fare a meno di ripensare al desiderio, che è
riconosciuto da Elia alla base della terapia delle psicosi: è il
trasfert desiderante dell'analista che stimola, attraverso la
simulazione incarnata, l'imitazione, l'identificazione e in fine la
funzione riflessiva in persone in cui il desiderio appare assente.
Nel suo ricordare che la psicoanalisi è, oltre alla disciplina
dell'inter-soggettività, quella della verità, ho avvertito
l'importanza di non perdere di vista le origini e di non dimenticarsi
del piacere della scoperta dell'inconscio.
Una scoperta, che mi
porto a casa da questo seminario è la centralità del corpo,
considerando che uno degli aspetti più suggestivi della psicoanalisi
è stata per me la sua centratura sul linguaggio. Ma il corpo è
stato un ulteriore asse di questi due giorni di convengo, il corpo
sospeso nell'acqua a trentasei gradi della terapia amniotica di
Peciccia. Il prendersi cura del paziente psicotico attraverso
l'esperienza fisica di contenimento dell'acqua, nell'abbraccio di
diversi terapeuti e il successivo momento di riflessione e libera
associazione attraverso il commento delle foto che ritraevano quegli
istanti. E' stato suggestivo leggere nelle parole di un individuo
schizofrenico il lento riacquistare un'identità corporea, il
riappropriarsi dei propri confini. Suggestiva
la teoria che il delirio persecutorio, protegge il sé fragile,
attraverso l'inaspettata iper-attivazione della simulazione
incarnata. Ma nuovamente è stata centrale la richiesta di
andare con il passo lento dello scienziato, attento a non fare
indebite generalizzazioni di associazioni e correlazioni e per il
quale l'individuazione di nessi causali è evento raro e prezioso.
L'attenzione a non prendere lucciole per lanterne e risolvere
nell'illuminarsi di un'area del cervello in una fMRI la questione di
come questo operi durante l'elaborazione dell'esperienza dell'altro,
del proprio essere in relazione all'altro e degli affetti che entro
questa relazione si sperimentano.
La seconda giornata di
convegno si è avviata sempre su questo tema, su come porre le basi
di questa coevoluzione tra psicoanalisi e neuroscienze, evitando però
di fare scientismo e confusione. Una nuova tensione, tra passato e
futuro, è stata introdotta: dal primo pensiero freudiano che
considerava la relazione come qualcosa dalla quale astenersi, al
pensiero attuale che la considera, tra transfert e controtransfert,
uno degli strumenti privilegiati della terapia ad orientamento
psicoanalitico in cui la praxis sviluppa quindi un ruolo di
prim'ordine, all'interno di quella inter-soggettività
linguistico-corporea, che caratterizza la diade paziente terapeuta.
Affascinante è stato
ascoltare l'intervento di Kernberg sui correlati neurologici delle
relazioni oggettuali, teoria più volte studiata attraverso la
mediazione di un docente o la lettura di un libro. Fa un effetto
particolarmente suggestivo ascoltare un pensiero scientifico da chi
lo ha prodotto. E' affascinante
osservare la correlazione tra i meccanismi di scissione psichica e
l'incapacità a livello della corteccia orbitofrontale di coordinale
l'attività delle aree di controllo degli affetti positivi e negativi
e di integrare l'esperienza emotiva attuale con l'esperienza emotiva
della memoria esplicita ed implicita del passato.
Ed è in questo passaggio
che ho avvertito la difficoltà di ricondurre il vocabolario del
mentale a quello del fisico, difficoltà che avverto nel passare ad
una descrizione della scissione basata sull'incapacità di tollerare
l'ambivalenza, rispetto al considerarla frutto di una diversa
attivazione della corteccia prefrontale. In questo passaggio ho
l'impressione che si perda un aspetto volitivo nell'esperienza
psichica della scissione. La possibilità di scelta mi è sembrato
essere un grande assente di questo convegno, la possibilità di
scelta che Freud riconsegnò in mano ai suoi neurotica, superando la
concezione dell'isteria come frutto di una degenerazione neurologica,
a favore di quella di un atto volitivo inconscio, un atto creativo di
gestione di un conflitto. Spero che siano i correlati neurali della
libertà di scelta il tema del prossimo convegno, in questo forse
solo accennati nelle parole di Gallese, che invitava a ricordare come
la libertà dell'uomo è quella di inibire una risposta, citando
forse le ricerche di Libet, in cui si mostrava l'esistenza di
processi di presa di decisione inibitoria e inconsapevole.
Ascoltare Gallese è
stato prima di tutto un piacere, la sua prudenza, che lo ha portato
più volte a ricordare l'errore del tentativo di tradurre uno a uno
l'attività psichica in attività neurale. Ha ricordato la
fondamentale irriducibilità del linguaggio mentale con l'attività
legata “ad una manciata di ioni che determina l'eccitazione o
l'inibizione di quella unità morfo-funzionale che è il neurone”.
Importante è l'ammonimento a ricercare un aumento delle capacità
esplicative nella descrizione del cervello per evitare di essere i
frenologi del nuovo millennio. L'obiettivo per le direzioni future:
la costruzione se non di un linguaggio comune, di uno che permetta il
passaggio fruttuoso di conoscenze tra una disciplina e l'altra.
Nelle parole di Gallese emerge un secondo suggestivo obiettivo:
quello di costruire una scienza dell'esperienza inter-soggettivita.
Il corpo riemerge anche nelle parole di questo scienziato che, con
referenza nei confronti di Kant, mette in discussione il valore
fondativo delle categorie di tempo e spazio, mettendo come condizione
non ulteriormente riducibile dell'esperienza umana il corpo.
Avviandomi alla conclusione, un ulteriore asse di tutto il convengo,
e in particolar modo dell'ultima parte, riguardava i concetti di
neotenia e immaturità alla nascita dell'uomo, che unico tra tutte le
specie, porta a termine la propria maturazione diversi mesi dopo
essere nato. Ci si è interrogati rispetto a che cosa lo si può
considerare immaturo, costatando che l'uomo è per sua caratteristica
in mutamento ed evoluzione “noi siamo coloro che divengono... in
costante divenire”. Il bambino
può essere considerato immaturo rispetto ad una relativa
indipendenza, condizione che lo pone alla mercé della madre, tanto
che nell'osservazione della scena di allattamento nella presentazione
di Ammanniti, credo che più di una persona abbia potuto fare
esercizio di contenimento di controtransfert. Ma è in questo legame
di assoluta dipendenza, che si sviluppa la mente umana, legame
suscettibile allo stress durante la gravidanza, un parto difficile o
per l'assenza della figura paterna.
E' in tutta quella serie esperienze di sintonia e dissintonia, che
si costruisce o non si costruisce una rappresentazione unitaria di sé
e dell'altro in relazione, positivamente e negativamente connotata.
Legame che si trasmette a livello intergenerazionale, attraverso
quella che Freud nel 1914 chiamò compulsione a trasmettere ogni
perfezione ai propri figli e della relativa tendenza dei figli a
cercare di aderirvi.
Asserzione con le quale Freud pose le basi del concetto di
identificazione proiettiva e quindi di quella psicoanalisi
inter-soggettiva che ci troviamo oggi a discutere.