sabato 11 novembre 2017

Impressioni sul convegno "La rivoluzione intersoggettiva. Le implicazioni per la psicoanalisi e la psicoterapia"

L'ho sentito un convegno tra passato e futuro, durante il quale ho avvertito il senso di comunità come i personalismi dei singoli.
E' stata una occasione nella quale è emerso il desiderio di conoscere la figura di Benedetti che riecheggiava con affetto in alcune presentazioni, a partire dalle prime parole di Maggioni, in cui ne ha accennato la passione e l'instancabilità della pratica psicoanalitica fino ad arrivare alle parole di affetto e referenza nell'intervento di Elia: è una sensazione strana avvertire come dietro un maestro ce ne sia sempre un altro.
Un convengo dal passato al futuro, una psicoanalisi che da un punto tende ad un altro, questa tensione è un asse che si avverte in tutte le presentazioni, dal descrivere il passaggio da una psicoanalisi del conflitto a una del deficit, dalla teoria alla clinica, dalla neutralità alla relazione come praxis. Una psicoanalisi in tensione tra ricordo e futuro e che vuole essere in un mutamento, guarda fuori dalla finestra alla ricerca di una alterità con la quale rinnovarsi.
Se un asse del convengo è stata questa tensione di mutamento che, citando le suggestive parole di Gallese, poggia sulla possibilità linguistica della negazione, “il motore cognitivo di quello che siamo, costantemente insoddisfatti di quello che abbiamo”, un secondo è stato quello che si può riferire alla domanda sulla propria identità. Suggestivo è stato l'intervento di Torres nel descrivere le vicissitudini di chi è messo di fronte alla scelta fra il negare la propria identità e rischiarare di essere guardato con sospetto ed escluso, come gli ebrei spagnoli che scelsero di convertirsi per rimanere in Spagna oppure scegliere per l'esilio e la dimenticanza dei Sefarditi.
La paura della perdita dell'identità della psicoanalisi, ne ho sentito il riverbero, in una questione che più volte è balenata nell'uditorio, ha senso cercare di portare il linguaggio psicoanalitico all'interno dei fenomeni fisico-biologici del cervello? Si può cercare un referente fisico, riducendo l'Io e l'Es ai neuroni, o si rischia di creare il dato e di fare dell'immagini di fMRI una realizzazione del desiderio? Paura di snaturare il senso della propria disciplina in questo incontro, paura che riemergeva anche nelle parole di Gallese che ammoniva dal porre una sconsiderata fiducia nelle neuroscienze, per prevenire una reazione di restaurazione, da parte di chi vorrebbe arrivare alla conclusione che è inutile porre domande al cervello in quanto è un organo troppo complesso per fornirle.
Mi permetto di andare di libera associazione su questi due giorni in cui si sono susseguiti interventi e personalità, voci e discorsi diversi e non posso fare a meno di ripensare al desiderio, che è riconosciuto da Elia alla base della terapia delle psicosi: è il trasfert desiderante dell'analista che stimola, attraverso la simulazione incarnata, l'imitazione, l'identificazione e in fine la funzione riflessiva in persone in cui il desiderio appare assente. Nel suo ricordare che la psicoanalisi è, oltre alla disciplina dell'inter-soggettività, quella della verità, ho avvertito l'importanza di non perdere di vista le origini e di non dimenticarsi del piacere della scoperta dell'inconscio.
Una scoperta, che mi porto a casa da questo seminario è la centralità del corpo, considerando che uno degli aspetti più suggestivi della psicoanalisi è stata per me la sua centratura sul linguaggio. Ma il corpo è stato un ulteriore asse di questi due giorni di convengo, il corpo sospeso nell'acqua a trentasei gradi della terapia amniotica di Peciccia. Il prendersi cura del paziente psicotico attraverso l'esperienza fisica di contenimento dell'acqua, nell'abbraccio di diversi terapeuti e il successivo momento di riflessione e libera associazione attraverso il commento delle foto che ritraevano quegli istanti. E' stato suggestivo leggere nelle parole di un individuo schizofrenico il lento riacquistare un'identità corporea, il riappropriarsi dei propri confini. Suggestiva la teoria che il delirio persecutorio, protegge il sé fragile, attraverso l'inaspettata iper-attivazione della simulazione incarnata. Ma nuovamente è stata centrale la richiesta di andare con il passo lento dello scienziato, attento a non fare indebite generalizzazioni di associazioni e correlazioni e per il quale l'individuazione di nessi causali è evento raro e prezioso. L'attenzione a non prendere lucciole per lanterne e risolvere nell'illuminarsi di un'area del cervello in una fMRI la questione di come questo operi durante l'elaborazione dell'esperienza dell'altro, del proprio essere in relazione all'altro e degli affetti che entro questa relazione si sperimentano.
La seconda giornata di convegno si è avviata sempre su questo tema, su come porre le basi di questa coevoluzione tra psicoanalisi e neuroscienze, evitando però di fare scientismo e confusione. Una nuova tensione, tra passato e futuro, è stata introdotta: dal primo pensiero freudiano che considerava la relazione come qualcosa dalla quale astenersi, al pensiero attuale che la considera, tra transfert e controtransfert, uno degli strumenti privilegiati della terapia ad orientamento psicoanalitico in cui la praxis sviluppa quindi un ruolo di prim'ordine, all'interno di quella inter-soggettività linguistico-corporea, che caratterizza la diade paziente terapeuta.
Affascinante è stato ascoltare l'intervento di Kernberg sui correlati neurologici delle relazioni oggettuali, teoria più volte studiata attraverso la mediazione di un docente o la lettura di un libro. Fa un effetto particolarmente suggestivo ascoltare un pensiero scientifico da chi lo ha prodotto. E' affascinante osservare la correlazione tra i meccanismi di scissione psichica e l'incapacità a livello della corteccia orbitofrontale di coordinale l'attività delle aree di controllo degli affetti positivi e negativi e di integrare l'esperienza emotiva attuale con l'esperienza emotiva della memoria esplicita ed implicita del passato.
Ed è in questo passaggio che ho avvertito la difficoltà di ricondurre il vocabolario del mentale a quello del fisico, difficoltà che avverto nel passare ad una descrizione della scissione basata sull'incapacità di tollerare l'ambivalenza, rispetto al considerarla frutto di una diversa attivazione della corteccia prefrontale. In questo passaggio ho l'impressione che si perda un aspetto volitivo nell'esperienza psichica della scissione. La possibilità di scelta mi è sembrato essere un grande assente di questo convegno, la possibilità di scelta che Freud riconsegnò in mano ai suoi neurotica, superando la concezione dell'isteria come frutto di una degenerazione neurologica, a favore di quella di un atto volitivo inconscio, un atto creativo di gestione di un conflitto. Spero che siano i correlati neurali della libertà di scelta il tema del prossimo convegno, in questo forse solo accennati nelle parole di Gallese, che invitava a ricordare come la libertà dell'uomo è quella di inibire una risposta, citando forse le ricerche di Libet, in cui si mostrava l'esistenza di processi di presa di decisione inibitoria e inconsapevole.

Ascoltare Gallese è stato prima di tutto un piacere, la sua prudenza, che lo ha portato più volte a ricordare l'errore del tentativo di tradurre uno a uno l'attività psichica in attività neurale. Ha ricordato la fondamentale irriducibilità del linguaggio mentale con l'attività legata “ad una manciata di ioni che determina l'eccitazione o l'inibizione di quella unità morfo-funzionale che è il neurone”. Importante è l'ammonimento a ricercare un aumento delle capacità esplicative nella descrizione del cervello per evitare di essere i frenologi del nuovo millennio. L'obiettivo per le direzioni future: la costruzione se non di un linguaggio comune, di uno che permetta il passaggio fruttuoso di conoscenze tra una disciplina e l'altra. Nelle parole di Gallese emerge un secondo suggestivo obiettivo: quello di costruire una scienza dell'esperienza inter-soggettivita. Il corpo riemerge anche nelle parole di questo scienziato che, con referenza nei confronti di Kant, mette in discussione il valore fondativo delle categorie di tempo e spazio, mettendo come condizione non ulteriormente riducibile dell'esperienza umana il corpo. Avviandomi alla conclusione, un ulteriore asse di tutto il convengo, e in particolar modo dell'ultima parte, riguardava i concetti di neotenia e immaturità alla nascita dell'uomo, che unico tra tutte le specie, porta a termine la propria maturazione diversi mesi dopo essere nato. Ci si è interrogati rispetto a che cosa lo si può considerare immaturo, costatando che l'uomo è per sua caratteristica in mutamento ed evoluzione “noi siamo coloro che divengono... in costante divenire”. Il bambino può essere considerato immaturo rispetto ad una relativa indipendenza, condizione che lo pone alla mercé della madre, tanto che nell'osservazione della scena di allattamento nella presentazione di Ammanniti, credo che più di una persona abbia potuto fare esercizio di contenimento di controtransfert. Ma è in questo legame di assoluta dipendenza, che si sviluppa la mente umana, legame suscettibile allo stress durante la gravidanza, un parto difficile o per l'assenza della figura paterna. E' in tutta quella serie esperienze di sintonia e dissintonia, che si costruisce o non si costruisce una rappresentazione unitaria di sé e dell'altro in relazione, positivamente e negativamente connotata. Legame che si trasmette a livello intergenerazionale, attraverso quella che Freud nel 1914 chiamò compulsione a trasmettere ogni perfezione ai propri figli e della relativa tendenza dei figli a cercare di aderirvi. Asserzione con le quale Freud pose le basi del concetto di identificazione proiettiva e quindi di quella psicoanalisi inter-soggettiva che ci troviamo oggi a discutere.