Come è noto, l’intento del lavoro analitico è di portare il paziente a togliere [aufheben] le rimozioni – intese nel senso più ampio relative al suo sviluppo primario, per surrogarle con reazioni che dovrebbero corrispondere a uno stato di maturità psichica. A tale scopo il paziente deve ricordarsi determinate esperienze, per il momento dimenticate, e i moti affettivi da loro suscitati. Quali materiali ci mette a disposizione, utilizzando i quali, possiamo condurlo sulla via del recupero dei ricordi perduti? Diverse cose: frammenti di tali ricordi nei sogni, in sé di incomparabile valore, ma tuttavia di regola fortemente distorti attraverso tutti i fattori che partecipano alla formazione del sogno; idee improvvise, prodotte abbandonandosi alla «libera associazione», dove possiamo rinvenire allusioni alle esperienze rimosse, così come i derivati dagli impulsi affettivi repressi e delle reazioni contro di essi; infine, indizi (Andeutungen) di ripetizioni di affetti appartenenti al rimosso in azioni importanti o di scarso rilievo, interne o esterne alla situazione analitica. Noi abbiamo sperimentato che la relazione di transfert che si stabilisce verso l'analista è particolarmente adatta a favorire il ritorno di tali rapporti affettivi. L'analista non ha sperimentato né rimosso nulla di quanto è qui in questione. Il suo compito non può essere di ricordare qualcosa. Qual è dunque il suo compito? Egli deve indovinare ciò che è stato dimenticato dalle tracce che ha lasciato dietro di sé, o, più correttamente, deve costruirlo. Come,quando e in quale maniera egli partecipa la sua costruzione all'analizzante, stabilisce di fatto il legame tra le due parti del lavoro analitico, tra la sua parte e quella dell'analizzante. L'analista termina un pezzo di costruzione, lo comunica all'analizzante in modo che agisca su di lui. Poi, a partire dal materiale nuovamente affluito, ne costruisce un altro, quindi procede allo stesso modo nello scambio [Abwechslung] sino alla fine. Se nelle presentazioni [Darstellungen] della tecnica analitica si sente parlare poco di “costruzioni”, la ragione è che al loro posto si parla di “interpretazioni” [Deutungen, più propriamente: “spiegazioni”] e dei loro effetti. Ma ritengo che “costruzione” sia la definizione più appropriata. Interpretazione si riferisce a ciò che ci proponiamo di fare con un singolo elemento del materiale, un'idea venuta in mente, un atto mancato. È, invece, costruzione presentare all'analizzante una parte dimenticata della sua preistoria press’a poco così: «Fino all’ennesimo anno lei si è comportato come l'unico e incontrastato possessore di sua madre; poi è venuto un secondo bambino e con lui una grave disillusione. Sua madre l'ha abbandonata per un po', e in seguito non si è più dedicata esclusivamente a Lei. I suoi sentimenti nei confronti della madre sono diventati ambivalenti e suo padre ha acquisito per Lei un nuovo significato (Bedeutung)» e così via.
In questo saggio tutta la nostra attenzione è rivolta esclusivamente al lavoro preliminare di costruzione.
E qui immediatamente sorge il problema di quali garanzie abbiamo, lavorando a queste costruzioni, che non stiamo sbagliando e che non ci stiamo giocando il successo del trattamento attraverso la presentazione di una costruzione errata. Dobbiamo prestare orecchio a una confortante notizia proveniente dall'esperienza analitica. Essa ci insegna infatti che non deriva alcun danno se una volta ci sbagliamo e se abbiamo esposto al paziente una costruzione errata come probabile verità storica. Ciò significa, naturalmente, una perdita di tempo, e chi sa di raccontare al paziente sempre soltanto combinazioni sbagliate non gli far"à certo una buona impressione e ciò non lo porterà molto lontano nel suo trattamento, ma un unico errore di questo tipo è innocuo. In questi casi capita per lo più che il paziente, rimane come se non fosse nemmeno toccato dalla costruzione e non reagisce a questo né con il si né con il no. Questo può forse essere soltanto un differimento della sua reazione; ma se le cose rimangono così, dobbiamo concludere che ci siamo sbagliati e lo riconosceremo con il paziente all'occasione più opportuna, senza per questo perdere la nostra autorità. È vero che
noi non accettiamo un «no» dell'analizzante come assolutamente valido, ma allo stesso modo valutiamo anche il suo «sì». È assolutamente fuori luogo scusarci perché in ogni caso interpretiamo (umdeuten) la sua manifestazione come conferma. In realtà, non è cosí semplice e non ci rendiamo cosí facile decidere.
Risulta, dunque, che le manifestazioni dirette del paziente, successive alla comunicazione della costruzione, non stanno né pro né contro la possibilità che abbiamo indovinato oppure no. Tanto più interessante è, allora, l’esistenza di forme indirette di conferma assolutamente attendibili. Una di queste è una forma discorsiva che, con parole poco diverse, ci capita di sentire spesso dalle persone più disparate, e che suona cosí: «Non l’ho mai (non l'avrei mai) pensato». Affermazione che può essere tradotta senza esitazioni in: «Sì, in questo caso, Lei ha colto giustamente l'inconscio».
La conferma indiretta attraverso associazioni che si adattano al contenuto della costruzione, portando con sé un simile anche, fornisce a nostro giudizio una base valida per prognosticare se la costruzione sarà confermata nel corso dell’analisi. Particolarmente significativo è anche il caso in cui la conferma si insinua nella contraddizione diretta con l’aiuto di un atto mancato. Se la costruzione è falsa, nel paziente non cambia nulla; se è giusta o porta ad approssimarsi alla verità, il paziente reagisce con peggioramento inequivocabile dei sintomi e delle condizioni generali.
Voglio concludere questa breve comunicazione con alcune osservazioni che aprono una prospettiva più ampia. In alcune analisi mi è capitato che la comunicazione di una costruzione chiaramente appropriata evidenziasse negli analizzanti un fenomeno sorprendente e da principio incomprensibile. Si presentavano loro vividi ricordi, da loro stessi designati come «sovrasignifìcanti», senza tuttavia ricordare nulla dell'avvenimento, che costituiva il contenuto della costruzione, ma solo dettagli molto vicini a questo stesso contenuto, per esempio, con straordinaria chiarezza i visi delle persone ivi nominate o gli ambienti in cui qualcosa di simile poteva essere accaduto, o, un poco oltre nella costruzione, le suppellettili di questi ambienti, di cui naturalmente la costruzione non poteva essere stata a conoscenza. Ciò avveniva anche nei sogni immediatamente dopo la comunicazione della costruzione e nello stato di veglia nei sogni a occhi aperti (in phantasieartigen Zustände). A questi ricordi non si connetteva nient’altro. Andavano presi ovviamente come il prodotto di un compromesso. La spinta del rimosso, attivata dalla comunicazione della costruzione, avrebbe voluto portare alla coscienza quelle tracce mnestiche così significative, ma la resistenza era riuscita, non tanto ad arrestare il movimento, quanto a spostarlo su oggetti vicini ma secondari. [Costruzioni in analisi, Freud 1937]