sabato 13 aprile 2019

Incontrando Benedetti


Per l'autore la psicopatologia schizofrenica dipende da un sostanziale disturbo della capacità di Simbolizzazione, che impedisce la creazione del simbolo del Sé. Tale assenza, a sua volta, rende impossibile una relazione del Sé con l'oggetto e con se stesso sufficientemente stabile da dare un senso di continuità, ma sufficientemente libera da non portare l'individuo a sentirsi alla mercé dell'altro. Questo porta i malati ad essere vagamente consci delle sensazioni e delle rappresentazioni che sono all'opera nella loro soggettività, senza per questo arrivare a comprenderle, perché manca loro la capacità di oggettivarle, di collocarsi di fronte ad esse, il che rende l'introspezione un'esperienza estremamente penosa, consistente nel non poter creare immagini di sé: si hanno così delle sensazioni, ma è impossibile osservarsi e comprendersi.

Prima di proseguire mi è stato utile riprendere le definizioni di segno e di simbolo. Il segno viene inteso come una correlazione diretta fra significante e significato, dove il primo sta per forma visiva ed espressiva, ed il secondo per contenuto, un “qualcosa d'altro” a cui il primo rimanda. Mentre nei segni il “qualcos’altro” è un contenuto immediato e preciso, nel simbolo le possibilità si ampliano. Il simbolo non comprende solo una associazione di contenuti, ma un insieme di emozioni che partono dal vissuto della persona e che possono avere un valore universale: la dove il segno definisce, il simbolo amplia.

Se la capacità di simbolizzazione è perduta con essa scompare la possibilità di creare un simbolo del Sé, che rappresenta la primaria esperienza di simbolo, qualcosa che se pur instabile, nella sua polisemia e magmaticità, perdura attraverso lo scorrere del tempo, gli incontri e le situazioni dando una esperienza di continuità dell'esistenza. Il terrore sperimentato dal soggetto schizofrenico nel momento in cui si affaccia a tale polisemia e magmaticità, lo porta all'ipersimbolismo nel quale tutto sembrerebbe simbolo, un gesto di qualcuno è una accusa, un incontro per strada è un invito, un colore intravisto nella folla è una conferma, ma che in realtà è un segno concreto e diretto, senza alcuna convenzionalità e interpretabilità. Da una realtà polisemica, si arriva ad una realtà spaccata in una infinità di segni che rimandano ad un unico significato persecutorio ed estatico per il soggetto.

Contrapposta alla Simbolizzazione vi è per Benedetti la Scissione, dove non vi è coesistenza di significati ma separazione: una separazione inconciliabile tra pulsioni e dettami morali e una separazione assoluta tra lo stato di comunione con l'altro e il ritiro autistico. La scissione più catastrofica avviene tra Sé Simbiotico e Sé separato, tale scissione implica la coesistenza di due stati assoluti e contraddittori, alternando uno stato di fusione con il mondo, ad uno di ritiro in sé. Tale scissione porta all'oscillazione tra la simbiosi “io sono l'universo, il sole, io sono te” all'autismo “non esiste niente fuori di me, ogni cosa è inesistente”.
Questo porta i pazienti ad essere contemporaneamente fusi e separati nel loro rapporto con il mondo e tale situazione viene sostenuta dal deficit di integrazione del paziente schizofrenico che si fa più forte ogni volta che la capacità di far coesistere le differenze viene messa alla prova. Il paziente messo di fronte all'angosciante incapacità di rimanere in relazione all'altro se non a costo di una profonda confusione tra se stesso e l'altro e il terrore che l'altro possa entrare in lui, reagisce così con la chiusura in un vissuto di non esistenza e alla strutturazione del delirio che garantisce quella permanenza e invarianza di cui sente dolorosamente bisogno. Ed ecco che il paziente reagisce collegando a sé tutto ciò che lo circonda,(delirio di riferimento), oppure cercando un'identità razionalizzandone l'assenza (“io non sono nessuno, nulla esiste”) oppure dilatandola (“io sono dio”).
Tale perdita di realtà è compensata dalla ricostruzione attraverso neomorfismi, neologismi, sistematizzati nelle costruzioni deliranti. Il delirio rappresenta il “tentativo di nascondere ciò che non è simbolizzato, ciò che è stato scisso ma che, pur non rappresentabile, non può essere eliminato in quanto è essenziale.”

Il Sé che si va a costruire in questo modo, un Sé delirante, perseguitato da una realtà che diventa riflesso di se stesso, è pur sempre l'unica forma di esistenza per il paziente schizofrenico, ecco perché l'interpretazione non può che essere rifiutata in quanto rischia di privarlo dell'unico Sé che è riuscito a costruirsi.

E' necessario che prima il paziente abbia potuto procurarsene un altro, fondato sulla dualità dello scambio affettivo, attraverso la creazione di simboli a partire dalle immagini del paziente.

Benedetti propone quindi l'immersione nel mondo delirante del paziente, accettando il paziente insieme con quello che in lui può esistere soltanto in forma allucinatoria. Considera le allucinazioni e deliri un protosimbolo, punto di partenza di una simbolizzazione. Per protosimbolo Benedetti intende il delirio e l'allucinazione, che per il paziente non può ancora essere un simbolo, ma solo un segno che lo rinvia alla realtà ultima della cosa. Al tempo stesso per il terapeuta il protosimbolo è un punto di partenza per arrivare da qualcosa che chiude, a qualcosa che crea.

La positivizzazione dell'esperienza psicotica è intesa come un riconoscimento delle potenzialità espressive e comunicative della psicosi, dove in un rapporto duale, il terapeuta prende dentro di sé il paziente e i suoi protosimboli restituendo un'immagine integrata e, a partire da una fantasia comune, contribuisce allo sviluppo di un processo di simbolizzazione. Al contrario dell'interpretazione, che descrive al paziente nevrotico, capace di riflettere su di Sé, in che modo l'ombra del passato influenza il suo presente, nella positivizzazione l'analista entra nello scenario del paziente per trasformarglielo.

La positivizzazione poggia sull'identificazione parziale, che sottintende un movimento che porta il terapeuta ad entrare nella pseudologica dell'altro, a vedere il mondo con gli occhi dell'altro, a intenderlo come l'altro lo intende e rispondergli con le proprie fantasie. Non è una identificazione totale, si tratterebbe di una folie à deux, è un entrare nella psicosi, rimanendone fuori. Benedetti la distingue dall'empatia, che viene intesa come la capacità di comprendere il paziente dall'interno. Viceversa l'identificazione parziale è qualcosa di più profondo, perché il terapeuta è nella situazione del paziente, è nel luogo del paziente, ha a che fare più con il versante della compassione, del “patire con”, piuttosto che “sentire dentro”. Poggia su un sentimento di simpatia, devozione e affetto, sulla parola Liebe che l'autore utilizza nei suoi testi, che potrebbe essere tradotta erroneamente con amore ma che in tedesco ha un significato più ampio che in italiano e che designa per Benedetti quella profonda “compassione” (cum-patire = soffrire con) che riconosce il paziente e nello stesso tempo ne fa un compagno di viaggio esistenziale.
Credo che per Benedetti sia proprio questa esperienza dell'essere con a fare la differenza nell'esperienza del soggetto schizofrenico, al punto di portarlo ad un punto di contatto con l'altro. Benedetti infatti considerava la psicopatologia individuale, imprescindibile dalla psicopatologia collettiva, della società e della famiglia, che segregano nell'individuo, quel fardello incomunicabile di profonde contraddizioni che ci caratterizzano (come non emozionarsi tra le pagine 24-25-26?).

Nell'individuo si incontrano le contraddizioni di una società che pretende di essere sana nelle sue atroci guerre, persecuzioni, corruzioni, terrorismi, nascosti dietro il mantello della giustizia, della libertà, della solidarietà e di una famiglia che incorpora senza eccezione tradizioni e comportamenti disumani, in qualsiasi cultura e società.

Per Benedetti, certi individui, si fanno portatori involontari, il più delle volte sotto la spinta della coercizione, di tale fardello e tali contraddizioni. Ecco, per l'autore, nel movimento di identificazione parziale, nell'accettazione di tenere dentro di Sé quei sentimenti dolorosamente impensabili rimanendone però differenziati, c'è la possibilità di dare un incontro a questi individui.

Alla base della possibilità di positivizzazione dell'esperienza psicotica e dell'identificazione parziale, vi è la capacità di riconoscere la profonda attività creativa dell'inconscio e della psicopatologia psicotica. Benedetti diceva “io non credo che ogni paziente sia un artista, penso tuttavia che il processo schizofrenico, che è naturalmente devastante per il mondo del paziente, stimoli, in alcuni, anche la creatività, una creatività perlopiù misconosciuta dalle persone normali e riscoperta solo da chi si impegna in una relazione profonda con il paziente.[...] se ci soffermiamo solo un po' ad ascoltare ci accorgiamo che una delle reazioni al processo patologico consiste nel creare delle difese che possono avere accesso ad una dimensione creativa. […] La scoperta e la stimolazione di questo nucleo di creatività permettono al paziente di creare simboli.

Il processo di positivizzazione non è intenzionale, ma è una risposta dell'inconscio del terapeuta messo a disposizione del paziente, ed è forse a questa messa ad disposizione che il paziente risponde attraverso il fenomeno della “dualizzazione” in un passaggio tra psicopatologia regressiva a psicopatologia progressiva, dove la malattia, il sintomo e il delirio non sono più orientati a distruggere la realtà ma a costruire, non più a separare ma a dualizzare. La psicopatologia progressiva è una psicopatologia la cui funzione è di avere delle intenzioni comunicative, contrapposta alla psicopatologia regressiva che è chiusura alla comunicazione e alla realtà.
Questo credo sia stato il punto più emozionante della lettura del testo di Benedetti, la profonda umanità dell'autore lo ha portato a comprendere che, se non ho frainteso il suo messaggio, l'unico modo di avvicinare questi pazienti fosse la profonda accettazione dei loro processi mentali. Processi mentali che li portavano a delirare e ad allucinare ma che al tempo stesso erano il nucleo primo della loro individualità verso la quale l'autore ha avuto sempre una grande umiltà e un grande rispetto.

Nella psicopatologia progressiva i fenomeni psicopatologici che tagliavano fuori dal rapporto con l'altro diventano vettori di dualità: il transitivismo (un fenomeno psicopatologico in cui il paziente proietta sul mondo parti del suo sé) diventa fenomeno di comunicazione e la personificazione (introiezione della realtà nel mondo del paziente), diventa un fenomeno interpersonale.

Si va a creare un soggetto transizionale, una istanza terza, costituita da elementi proiettivi e introiettivi del paziente e del terapeuta: è una possibilità che appartiene al paziente ma che non può sussistere a prescindere dal terapeuta. E' una zona di esistenza intersoggettiva, dove si contribuisce allo sviluppo di un processo di simbolizzazione e quindi all'elaborazione del simbolo del Sé.

Tale soggetto transizionale può tramite “un'ispirazione” emergere dall'inconscio, non è una immagine ricercata, che rappresenta il più delle volte un tentativo prematuro di difesa rispetto alle angosce del paziente, ma una libera associazione che si costruisce sul materiale delirante portato dal paziente. Ed ecco che all'immagine di Cristo, masturbato da dei bambini, segue nella fantasia del terapeuta, l'immagine di un quadro, in cui Cristo abbraccia i bambini (pag68-69). La decisione del terapeuta è nel condividere o meno tale immagini, ma non è un atto produttivo conscio. La conferma o meno che i due inconsci abbiano intessuto una trama comune sta nella risposta del paziente, se include, o meno, il nuovo materiale all'interno della discorso delirante. Nella lettura del testo, non ho potuto fare a meno di chiedermi quanto queste forme di associazione fossero lontane dal concetto di rêverie. Ricordo che al seminario di Roussillon, al quale abbiamo da poco partecipato, la terapeuta, Anna Ferruta, rispondeva al termine avulso, usato dalla paziente per rappresentare il suo vissuto familiare, con l'immagine dell'azulejo, una tipica mattonella d'arte portoghese, che rappresentava in un medesimo simbolo sia il legame che la separazione. Tale mattonella infatti rappresenta un disegno individuale e al tempo stesso collettivo all'interno del murales nel quale viene collocata. L'immagine iniziale, una separazione, è stata restituita in una forma arricchita dal transito nell'inconscio dell'analista andando a formulare un simbolo dell'individualità nel collettivo, in risposta di un conflitto questa volta ad un livello non specificatamente psicotico di personalità.

Il soggetto transizionale può essere un nuovo simbolo creato all'interno della relazione terapeutica, non tutto del paziente e non tutto del terapeuta, frutto anche di un sogno gemellare, una diade di sogni che si verificano nel terapeuta e nel paziente nel corso di una stessa notte e in cui terapeuta e paziente assumono ruoli diversi e coordinati, uno rivolto verso la vita l'altro rivolto verso la morte. Tali soggetti transizionali, ad esempio un albero possente e forte (pp112/113), che compare in un sogno del terapeuta, contrapposto ad un castello circondato dal deserto sognato dal paziente, possono costituire per il paziente psicotico oggetto di contemplazione, dal quale recuperare un senso di serenità e benessere. (Per una descrizione puntuale del processo di positivizzazione attraverso il sogno gemellare che implica introiezione, identificazione parziale, creazione soggetto transizionale / comunicazione leggere pag. 176/177)

Ultimo strumento di positivizzazione dell'esperienza psicotica è il disegno speculare progressivo che si basa su un dialogo in immagini disegnate con il paziente che propone continuamente l'integrazione tra Sé simbiotico e Sé separato: quando le immagini sono sovrapposte prevale la relazione simbiotica, quando i fogli e i disegni si dividono nell'osservazione c'è il confronto con la dimensione separativa della relazione. (Da pag. 186 a 191 c'è una descrizione dettagliata del metodo.)

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