Ebbene, per la Conversazione, le transazioni verbali, lo scambio di parole, hanno due regole molto importanti: la prima è considerata una regola costitutiva e si enuncia con la questione del "Come se ne esce?", la seconda è considerata normativa ed è l'orientamento degli interventi del Conversazionalista secondo il criterio della felicità.
Per la chiacchiera non si pone quella che abbiamo dato come regola costitutiva e cioè il "come se ne esce", mentre per la comunicazione, soprattutto quella in ambito terapeutico, si pone soprattutto la questione del cambiamento che dovrebbe avvenire nelle persone.
Nel Conversazionalismo, la questione del "come se ne esce?" tende a risolversi applicando il criterio della regola normativa della felicità. Bisogna infatti sottolineare che nel Conversazionalismo ci si appassiona al tentativo che consenta agli interlocutori di condividere una conversazione felice.
Mi rendo conto che l'uso di una parola come felice potrebbe rendere problematico il discorso ed il Lettore potrebbe lasciarsi prendere da una folla di domande: ma di quale felicità vai parlando? dici della felicità del tuo paziente, di quella tua, di quella vostra? e poi, cosa intendi per felicità? e ancora, sei proprio sicuro che di una conversazione si possa dire felice?
Cercando di approfondire il concetto, ci si imbatte nella doppiezza della lingua: "felice" si dice di una mossa, di una formulazione, di un'espressione, ma si dice anche di una persona. La felicità può essere linguistica, ma anche psicologica. Occupandoci di conversazione, ci troviamo sul crinale tra due mondi, il mondo delle parole e il mondo delle cose, il mondo linguistico e il mondo extralinguistico. Non è che non ci interessi la felicità come emozione che gli interlocutori possono sentire, ma ci concentriamo sulla felicità come qualità della conversazione: qualità legata alla possibilità di sciogliere un problema della conversazione, per cui prima questa qualità era assente o più bassa, poi risulta essere presente o più alta.
Il "come se ne esce?" si mostra quindi come quell'insieme di interventi che uno degli interlocutori (il Conversazionalista) fa per incrementare la qualità conversazionale della felicità o per farne abbassare l'infelicità.
"... Sono soprattutto interessato a un buon andamento, a un andamento felice della conversazione. Evidentemente secondo criteri soggettivi miei, non potendo certo sapere qual è, per il mio interlocutore del momento, una buona conversazione, una conversazione felice. Mi piace anche registrare le conversazioni, le mie conversazioni. Alcune conversazioni registrate, solitamente quelle che mi sono apparse nel loro snodarsi poco felici o decisamente infelici, le riascolto o le trascrivo. Le studio attentamente, ne analizzo le sequenze, cerco di scoprire se e dove e in che modo una sequenza infelice è stata propiziata da un mio contributo infelice. Nelle successive conversazioni, poi, il ricordo delle conversazioni studiate, o passate, mi aiuta, credo almeno a volte, a evitare i contributi che mi sono sembrati propiziatori di conversazioni infelici, per privilegiare i contributi che mi sono sembrati, in conversazioni analoghe precedenti, propiziatori di conversazioni felici" (Introduzione al conversazionalismo, Antonio Minvervino)
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