lunedì 20 aprile 2015

La perdita della realtà: nevrosi, psicosi e feticismo.

In “Nevrosi e Psicosi” (1923) Freud le aveva distinte in base alla direzione del movimento dell'Io, nel primo caso è un imporsi sull'Es e a farla da padrone sono gli accadimento reali, nel secondo caso è un ritrarsi dalla realtà sotto il dominio dei moti pulsionali.
In particolar modo affermava come nelle nevrosi di traslazione il sintomo (rappresentanza sostitutiva che si impone all’Io a mezzo di compromesso) si sviluppa a partire dal fallimento della rimozione di un impulso inconscio che l'Io non è né in grado di favorire né di reprimere. La lotta evitata contro l’impulso negato è così portata avanti contro il sintomo che minaccia il sentimento di unità dell’Io. Freud afferma come l’Io in questo moto abbia seguito i dettami del Super-Io che a sua volta si è piegato agli influssi del mondo reale. In particolar modo vengono rintracciate due forme di influenza del reale sull’Io, il primo è rappresentato dalle percezioni attuali che possono rinnovarsi continuamente, il secondo da quel patrimonio mnestico di percezioni precedenti che vanno a costituire quello che viene definito “mondo interiore”.

Freud identifica una similitudine tra i processi che portano alla psicosi e quelli che portano al sogno, in particolar modo il crearsi un nuovo mondo esterno e il venir meno dell'investimento del mondo interno a favore dei desideri dell’Es. In tutto questo il delirio viene descritto come “una specie di rammendo, laddove in origine si si era prodotta una lacerazione nel rapporto con l’Io e il mondo esterno”. Ma sia nella psicosi che nella nevrosi all'origine della patologia viene rintracciata la frustrazione di uno degli invincibili desideri della vita infantile. Tale frustrazione può derivare dall'esterno o dall’istanza interna che si è assunta l’onere di rappresentare le pretese della realtà: il super-io. Tale istanza tende ad unificare in sé influssi provenienti dall’Es e impulsi provenienti dal mondo esterno andando a rappresentare quella sorta di modello ideale al quale l’Io tende con tutte le sue forze.
Freud in queste pagine afferma dell’esistenza di un terzo tipo di conflitto, tra Io e Super-Io che rintraccia alla base della melanconia o in generale delle “psiconevrosi narcisistiche”.

In “La perdita della realtà nella psicosi e nella nevrosi” (1924) ciò che vuole approfondire, partendo dalla constatazione che in entrambe le condizioni il rapporto con la realtà viene compromesso, è l'effetto sulla rappresentazione della realtà da parte del soggetto in un caso e nell'altro.
Nella nevrosi tale rapporto viene mantenuto integro nella prima parte del processo, quando questo, non ancora patologico, reprime un moto pulsionale. La compromissione con la realtà avviene invece quando si avviano quei processi che mirano a soddisfare, almeno in parte tale moto pulsionale. Il fallimento della rimozione che ne consegue porta quindi a quell'allentamento del rapporto con la realtà che rimane però focalizzato su quel frammento della realtà adiacente alle richieste della rimozione pulsionale effettuata.

Freud riprende l'esempio dell'analisi della Signorina Elisabeth von R. che abbiamo trattato qualche seminario fa. In questo caso a seguito, alla morte della sorella della rimozione del desiderio di sposarsi con il cognato alla morte della sorella, Elisabeth aveva prodotto un'amnesia sulla scena e conseguentemente prodotto i sintomi di natura isterica.

Nel processo di formazione della psicosi troviamo anche qui due stadi, nel primo l'Io cerca di svincolarsi dalla realtà, ma anche nel secondo perpetua questo tentativo attraverso la creazione di una realtà nuova e diversa priva degli impedimenti della realtà che era stata abbandonata.

Nevrosi e psicosi condividono quindi entrambe espressione del tentativo di ribellione dell'Es come anche della sua incapacità di adattarsi alla realtà (necessità), ciò che le distingue è la prima fase della loro genesi che nella nevrosi porta ad un allentamento del rapporto con essa attraverso la fuga, nella psicosi ad una ricostruzione di un realtà nuova.
Freud considera come sano un comportamento intermedio, che non si limita alla fuga, ma porti alla modificazione della realtà, ma non attraverso il delirio e l'allucinazione, ma attraverso l'azione e il comportamento (passando da una modificazione autoplastica, interna ad alloplastica, ossia manipolazione dell'esterno).




Freud passa poi alla descrizione dei processi attraverso i quali si ricostruisce la realtà nella psicosi, spiegando come il rimodellamento della realtà riguarda le tracce mnestiche, le rappresentazioni e le valutazioni sulla realtà stessa che la psicosi si procura attraverso paramnesie, formazioni deliranti e allucinazioni in modo tale da far corrispondere la realtà esterna con quella che il soggetto si è creato. Tale processo però non è privo di angoscia derivante dal fatto che questo avviene contro delle forze che gli si oppongono strenuamente. Questo avviene per processi similari a quelli nevrotici, lì dove il moto pulsionale trabocca e le difese vacillano, generando sofferenza, qui parte della realtà che è stata rigettata torna a riproporsi nella vita psichica del soggetto.












Avviandosi alla conclusione Freud individua ulteriori similitudini tra nevrosi e psicosi. In particolar modo che è il secondo stadio a fallire non riuscendo la pulsione a trovare un sostituto vero e proprio. Ma nella psicosi entrambi i moti sono patologici, nella nevrosi il primo non lo è, anzi, essendo qualcosa di comune nella vita quotidiana.

Le differenze riscontrate secondo Freud derivano da una disparità a livello topico, ossia dal rinunciare in un conflitto all'attaccamento al mondo reale o alla propria dipendenza dall'Es, questo porta al fatto che nella nevrosi ci si accontenta di schivare la realtà. Un punto di unione è rappresentato invece dalla fantasia attraverso la quale il soggetto può vivere in un mondo più consono ai propri desideri. Questo mondo parallelo, solo parzialmente accessibile all'io e distinto dal mondo realtà con l'instaurarsi del principio di realtà rappresenta la fucina attraverso la quale il soggetto nevrotico può trovare soddisfazioni ai suoi desideri.
Nella psicosi tale mondo svolge il medesimo ruolo rappresentando lo scrigno dal quale viene attinto il materiale per il rimodellamento radicale della realtà, nella nevrosi invece, questo materiale si appoggia alla realtà, tranne che per quel segmento dal quale si vuole difendere, conferendo ad essa un particolare significato o senso segreto o simbolico.


Differenze
Nevrosi
Psicosi
Rapporto Io /Es/Realtà
Realtà>Io>Es
 Es>Io>Realtà
L'effetto sulla rappresentazione della realtà
Mantenuto integro nella prima parte del processo
Tentativo di svincolarsi dalla realtà in entrambe le fasi del processo.
Manipolazione della realtà
allentamento del rapporto con essa attraverso la fuga
Ricostruzione realtà  attraverso deliri e allucinazioni.
Angoscia
Causata dal ritorno dell'Es
Causata dall'imporsi della realtà
Processi patologici
Solo nel secondo stadio
In entrambi gli stati
Somiglianze
Sono entrambe un'espressione del tentativo di ribellione dell'Es.
Sono entrambe derivanti dall'incapacità dell'Es di adattarsi alla realtà.
L'angoscia deriva dal fallimento del sistema difensivo.
La fantasia è l'origine del materiale per la soddifazione del desiderio.


Freud anche nel suo testo Feticismo (1927) affronta la questione del rapporto con la realtà. Con questo termine si riferisce alla condizione di certe persone "la cui scelta oggettuale era dominata da un feticcio, [...] riconosciuto da coloro che ne dipendono come qualcosa di anomalo, [...] per il quale si dichiarano pienamente soddisfatte o addirittura mostrano apprezzare le facilitazioni che esso procura alla loro vita amorosa." In particolare per Freud il feticcio è il sostituto del pene, e in particolare un pene che nell'infanzia ha avuto una grande importanza, al quale nella normalità vi si rinuncia mentre in questo caso viene salvaguardato: il pene della donna (madre).
Nel feticismo vi è il rifiuto di un dato sensoriale, ossia che la donna non ha un pene, questo perché è' stato impossibile per il soggetto feticista accettare tale percezione, associata ad una possibilità intollerabile, quella della possibile evirazione della donna. Tale possibilità è insostenibile per il soggetto feticista in quanto comporta che lui stesso possa incorrere nello medesimo destino. 
Alla base di tale misconoscimento Freud rintraccia nuovamente la rimozione, intervenuta nel conflitto tra l'importanza della percezione sensoriale indesiderata e la forza del controdesiderio. Tra queste due spinte viene raggiunto un compromesso possibile solo grazie alle leggi inconsce dominate dai processi primari. Qualcosa è stato eletto al suo posto, ereditandone l'interesse, ulteriormente reso straordinario perché intriso dell'orrore per l'evirazione, a questo risultato rimane parallelo lo “stigma indelebile” dell'avvenuta rimozione: un certo senso di estraneità per i genitali femminili che ai feticisti non manca mai. Il feticcio, così ottenuto, rappresenta il trionfo contro la minaccia dell'evirazione ed evita al feticista di divenire omosessuale attribuendo una caratteristica alla donna che la rende tollerabile come oggetto sessuale.

L'instaurarsi del feticcio sembra legato a processi similari l'amnesia traumatica: l'ultima impressione prima della scoperta traumatica (che la donna è priva di pene) è quella che verrà eletta a feticcio, ecco l'elezione di piedi e scarpe, spesso l'ultima immagine impressa nella memoria prima della scoperta del genitale femminile, così come i capi di biancheria intima che fissano l'attimo della spoliazione, l'ultimo in cui si poteva credere ancora alla donna fallica.

Il feticismo inizialmente appariva a Freud come una disconferma di quanto scritto precedentemente sulla perdita della realtà nella psicosi e nella nevrosi.  Infatti anche in questo caso un aspetto significativo della realtà viene rinnegato dall'io (l'evirazione della donna), ma non si sviluppa una psicosi. Questo avviene perché solo una corrente della vita psichica del soggetto non accetta il dato reale: un'altra se ne rende conto perfettamente, manifestando la coesistenza di un atteggiamento consono alla realtà e uno consono al desiderio. Tale scissione scrive Freud si evolve in una nevrosi ossessiva in cui l'esistenza del soggetto oscilla tra questi due atteggiamenti. Nella psicosi invece, tale coesistenza non è rintracciabile, e l'atteggiamento consono alla realtà è perduto.

Trasversale alla discussione sul rapporto tra nevrosi, psicosi, feticismo e realtà, vi è il meccanismo di scissione dell'io (Ichspaltung) che viene introdotto sia in Nevrosi e psicosi (1923) che in Feticismo (1927), delineato con precisione in: la scissione dell'io nel processo di difesa (1938) e ripreso nelle ultime pagine del Compendio di psicoanalisi (1938).

Tale fenomeno, come abbiamo visto poco prima, è conseguente un conflitto fra pretese pulsionali e obiezione della realtà, tra desiderio e possibilità di attuarlo. Al soggetto si apre così la strada di una repressione del desiderio, e in caso di ritorno del rimosso una soddisfazione a mezzo di compromesso, oppure attraverso la repressione della realtà, a prezzo del delirio e delle allucinazioni per ricucire lo strappo avvenuto.
Una terza via si apre però al soggetto: la possibilità che, con l'aiuto di determinati meccanismi, possa coesistere un rifiuto della realtà, non lasciandosi proibire nulla, con la sopravvivenza però del pericolo della realtà, che assunto su di sè, sotto forma di sintomo patologico, lascia la possibilità di soddisfare e reprimere al tempo stesso la pulsione, di adeguarsi e rifiutare nel medesimo momento la realtà.Tale obiettivo però è stato raggiunto a caro prezzo, ossia attraverso: "una lacerazione dell’Io che non si cicatrizzerà mai più, che anzi si approfondirà col passare del tempo. Le reazioni antitetiche al conflitto permarranno entrambe come nucleo di una scissione dell’Io." Quella che andrà perduta sarà la funzione sintetica dell'Io, tante volte data per scontata, ma che è in realtà suscettibile di tutta una serie di disturbi.

Il processo in atto nel feticismo, che mira a preservare il pene femminile, attraverso l'ausilio di un feticcio colpisce per il suo carattere di distogliemento della realtà, aspetto che avevamo visto essere tipico della psicosi, Il processo però non è totalmente identico, il soggetto infatti non ha smentito la propria percezione sensoriale allucinando un pene la dove non era visibile, ma ha: effettuato uno spostamento di valore trasferendo l'importanza del pene a un'altra parte del corpo, servendosi del meccanismo della regressione. Il prezzo è il sopravvivere della paura, al quale il soggetto fa fronte attraverso una sovraccompensazione di mascolinità, la paura di evirazione viene evitata attraverso una regressione alla fase orale, manifestandosi come terrore di essere ingoiato dal padre.
 

sabato 18 aprile 2015

Linguaggio e giochi tossicomanici

Il tossicomane e il delinquente, entrambi fanno un uso falso del linguaggio (e non solo di esso). Offrono come terreno d'intesa, non senza contrattarne il prezzo, un linguaggio di gruppo che essi stessi sanno non esistere, nel senso che, se pure a volte viene usato, esso è finalizzato anche all'interno del gruppo all'evitamento della personalizzazione, della presentazione di se come persona. Offrono dunque un linguaggio che non vale una pipa di tabacco (o una fiutata di cocaina) e che si rivelerà invariabilmente una crosta vergognosa elaborata o affittata per non presentarsi e per esprimere contemporaneamente la propria incapacità di farlo.
Una seconda modalità di descrivere il medesimo fenomeno è il concetto di gioco tossico, che rappresenta una modalità comunicativa tipicamente osservata all'interno delle comunità terapeutiche e che si declina nel gioco del compiacere o della sfida, aspetti diversi ma che coincidono nello scopo di legittimare il non cambiamento, ovvero il mantenimento dell'identità costruita attraverso l'abuso di sostanze. Infatti il gioco del compiacere si alimenta attraverso racconti quali: "ho scelto di essere qui... sono qui per cambiare... cercherò di capire che cosa intendi tu per cambiamento per adeguarmi meglio alle tue richieste... ti farò credere che cambierò come tu ti aspetti che io cambi", viceversa, attraverso il gioco della sfida la persona veicola messaggi quali "non ho scelto di essere qui... non ho scelto di cambiare, tanto meno come tu vorresti che io cambiassi, sarai tu a cambiare per permettere a me di non cambiare". Poco importa che queste modalità discorsive siano la conseguenza di una funzione riflessiva deficitaria e di una profonda incapacità di nominare i propri stati emotivi, affetti, e desideri, e quindi di accedere, sempre che esista, ad una identità dalla quale differenziarsi, oppure che abbiano come scopo il sostenere un sé onnipotente, specchio di un lutto mai vissuto, ma che perpetua il bisogno di tenerezza e affetto che caratterizzano il personaggio tossicomane e delinquente. Tali modalità rappresentano l'empasse tipico che si incontra nel lavoro in comunità riabilitativa, che può essere fatto coincidere con la sensazione di trovarsi in cabina di pilotaggio con un pilota che delega completamente al co-pilota la guida del velivolo, senza condividere però l'itinerario e la meta da raggiungere, oppure nel pilota che ti vuole "far vedere come si fa" lasciandoti a margine o come esecutore della sua missione, con la forte sensazione che non finirà per nulla bene.
Tra questi due estremi, si situa quello che viene definito come gioco del co-cambiamento, che tende a veicolare il messaggio "io non ti dirò come tu devi cambiare, cambieremo insieme in base alla storia che ci siamo raccontati". In questa logica l'intervento comunitario non propone, ne prescrive alle persone il tipo di cambiamento da perseguire, ma nemmeno si lascia trasportare per deriva sulle regole o sulle richieste che i tossicomani propongono per cambiare l'identità del contesto. Tale modello di cambiamento non veicola un modello "forte" di uomo da realizzare, ma cambiano continuamente, accompagna la persona a costruire un proprio "modello personale" e ad attivare processi di cambiamento caratterizzati da una tensione a realizzarlo. Quindi la comunità affiancando la persona nel confrontarsi con i rischi della propria identità passata, con tutto il carico di sofferenza che il sentire porta con sé, per queste persone congenitamente poco inclini ad accettare quello che il corpo dice, cerca di costruire con la persona un'altra storia e le propone di attivare processi di cambiamento orientati a tale storia, che terrà conto dei bisogni e delle risorse personali. Il messaggio sotteso a questo tipo di intervento è "Io cambierò continuamente il mio modo di intervenire con te, agendo anche diversamente da come farò con altri, rispettando la storia che ci siamo raccontati e gli obiettivi che abbiamo condiviso, questo però richiederà a te di cambiare continuamente  il tuo modo di agire con me, nello sforzo congiunto di avvicinarci il più possibile a ciò che abbiamo immaginato di realizzare insieme." 

Il Linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione

Il punto di partenza di Ferenczi è la constatazione che la ripetizione quasi allucinatoria di esperienze traumatiche in analisi e la conseguente abreazione di ingenti quantità di affetti rimossi non hanno l'effetto di allentarne la sovrastruttura e conseguente formazione di sintomi ma che al contrario portano ad aumentare gli stati ansiosi e gli incubi notturni e alla degenerazione della seduta d'analisi in un attacco isterico.
Il contenuto di questi attacchi consistevano in sfoghi di irritazione e di rabbia che portarono Ferenczi a interrogarsi sulla fondatezza della sua tecnica. A seguito di ciò afferma che i suoi pazienti anziché contraddire o incolpare l'analista di passi falsi od errori si identificavano con lui e che solo in stati isteroidi prossimi all'incoscienza potevano permettersi di esprimere delle lagnanze. Fatti come questi impongono all'analista di interrogarsi non soltanto sui fatti incresciosi del passato ma anche sulle critiche violente espresse dal paziente nei riguardi dell'analista. Solo un'analisi condotta “fino in fondo”, e che ha portato a conoscenza di tutti i tratti sgradevoli esterni ed interni del proprio carattere, permette di non farsi cogliere alla sprovvista dai moti d'odio dei propri pazienti.
Tra i più importanti empasse relazionali Ferenczi individua “l'ipocrisia del lavoro professionale” che corrisponde alla promessa di ascoltare con attenzione il paziente, di dedicargli il nostro interesse , di metterlo a suo agio e di farlo progredire nonostante alcune sue caratteristiche ci risultino insopportabili. Il suggerimento è di abbandonare tale posizione, interrogando in se stessi cosa tanto disturba del paziente e comunicarglielo, il venir meno di questa insincerità nel rapporto ne aumenta la qualità “sciogliendo la lingua” al paziente, facilitando la traduzione degli eventi traumatici del passato in pensieri senza perdita di equilibrio psichico ma al contrario innalzando tutto il livello della personalità del paziente.
Dalla risoluzione di tale intoppo di tecnica analitica segue la constatazione che il non pronunciarsi su ciò che del paziente ci appare intollerabile è una riproposizione dell'azione patogena infantile e una ripetizione del trauma, e che al venir meno di questa ipocrisia professionale segue una certa “fiducia che è quel certo non so che, grazie a cui si delinea il contrasto tra il presente e l'intollerabile passato traumatogeno, contrasto indispensabile, affinché il passato sia rivissuto anziché come riproduzione allucinatoria come ricordo oggettivo”. Tale fiducia ha permesso all'autore di accedere ad un rapporto più intimo con i suoi pazienti e ad alcuni fatti che sembrano confermare l'importanza del trauma, in particolar modo sessuale, come agente patogeno.
In particolar modo descrive come quanto avviato dal bambino come fantasia ma mantenuto al livello della tenerezza viene scambiato dall'adulto con tendenze patologiche come desideri di una persona sessualmente matura.
La reazione dei bambini è “dominata dalla paura, dal sentirsi indifesi fisicamente e moralmente, ammutoliti e privati dalla forza e dall'autorità degli adulti di pensare. Questa paura li porta a sottomettersi alla volontà dell'aggressore a indovinare tutti gli impulsi di desiderio e dimentichi di sé, a seguire questi desideri identificandosi con l'aggressore”. Con quella che si può chiamare come introiezione dell'aggressore quest'ultimo scompare come realtà esterna diventando un evento intrapsichico e come tale cade sotto al dominio del processo primario e quindi trasformabile in allucinazioni positive e negative. Nella vita psichica del bambino il mutamento più importante è l'introiezione del senso di colpa dell'adulto che fa apparire quanto considerato come un gioco innocente un'azione colpevole.
Questo porta alla sensazione di esser diviso in due, come colpevole e innocente nel medesimo momento e sfiduciato nella possibilità di manifestare il proprio pensiero. Il bambino diventa una creatura che obbedisce in modo meccanico oppure ostinato, incapace di comprendere il motivo della propria ostinazione. La sua vita sessuale rimane involuta o assume forme perverse a cui possono seguire una nevrosi o una psicosi: la personalità ancora debolmente sviluppata risponde al dispiacere improvviso anziché con processi di difesa, con l'identificazione con la paura e l'introiezione di colui che minaccia e aggredisce.
Questo permette di comprendere come mai certi pazienti rispondano con dispiacere ad un torto subito, invece che con odio e processi di difesa; questo avviene perché una parte della personalità, o il suo nucleo è rimasta ferma ad un livello in cui reagisce alle aggressioni in modo autoplastico anziché alloplastico. Ferenczi arriva così a scorgere una personalità composta unicamente da Es Super-Io a cui manca la capacità di affermare se stessa anche nel dispiacere, così come accade nei bambini piccoli per il quale l'esser soli, senza la protezione della madre o di altri, ossia privati di un rilevante quantitativo di tenerezza, è una condizione insopportabile.
Ferenczi ritiene che l'amore oggettuale passivo, ovvero la tenerezza, sia una premessa all'amore oggettuale maturo. In tale stadio il bambino gioca con la fantasia di prendere il posto della madre, ma in realtà non vuole e non può fare a meno di essa. Se in questa fase il bambino subisce più amore o amore di altra natura di quello che desidera ciò può avere conseguenze altrettanto, se non più patogene, della frustrazione amorosa. Ad di là di una disamina di tutte le diverse patologie del carattere che possono derivane la conseguenza generale può essere quella della confusione tra linguaggio degli adulti adulti e quello dei bambini. Ferenczi suggerisce la rassegnazione al fatto che dietro l'adorazione o l'amore di transfert di bambini, allievi e pazienti vi è l'ardente desiderio di liberarsi da un amore che intralcia, e che la risoluzione di transfert molesti porta la personalità ad un livello di funzionamento più alto.
Avviandosi alla conclusione Ferenczi vuole indagare come oltre all'amore forzato anche le insopportabili misure punitive (sanzioni disciplinari connotate da passionalità ed espressioni rabbiose, portano a livello di realtà ciò che nella mente del bambino era solo una fantasia. Prosegue poi nell'analisi di un secondo fenomeno, oltre a quello della regressione traumatica, che colpisce un individuo in conseguenza di uno shock, la progressione traumatica o precocità, che consiste nel dispiegarsi immediato di future attitudini, o attitudini potenziali che in genere fanno parti del matrimonio, della paternità o della maternità. La paura degli adulti privi di inibizioni, e perciò per un certo punto di vista pazzi, fa per così dire dire del bambino uno psichiatra; per diventare tale e difendersi dai pericoli rappresentati dalle persone prive di controllo, egli deve sapere innanzitutto identificare completamente con esse.

Concludendo Ferenczi scrive che oltre all'amore passionale e la punizione passionale gli adulti dispongono di una terza via per legare a se i bambini: il terrorismo della sofferenza. I bambini hanno bisogno di appianare qualsiasi specie di disordine in famiglia, per così dire di caricare sulle proprie spalle il peso che grava su quelle di tutti. Una madre che si lamenta delle proprie sofferenze può fare della figlia la propria infermiera a vita procurandosi un sostituto della sua e senza curarsi dei veri bisogni e degli interessi della figlia.  [Sandor Ferenczi 1932]