Noi non sappiamo che cosa siano felicità o infelicità in senso assoluto. Tutto è promiscuo in questa nostra vita, ove non è dato provare alcun sentimento completamente puro, non è dato restare per due momenti di seguito nello stesso stato, ché gli stati dell'animo, come le modificazioni del corpo fluiscono senza sosta. Il più felice è colui che meno patisce; il più misero è colui che gioisce di meno. Ma sempre i patimenti sopravanzano le gioie: ecco la differenza a tutti comune. La felicità dell'uomo quaggiù è dunque soltanto uno stato negativo, determinato dalla minore quantità dei mali sofferti. Ogni sentimento di pena è inseparabile dal desiderio di liberarsene; ogni idea di piacere è inseparabile dal desiderio di goderne; ma il desiderio presuppone sempre una privazione e tutte le privazioni che si avvertono sono penose. E' dunque nella sproporzione tra i desideri e le facoltà di soddisfarli che risiede la nostra miseria. Un essere sensibile, che avesse facoltà pari ai desideri, sarebbe assolutamente felice. In che cosa consiste la saggezza umana, ossia la strada della vera felicità? Non certo nel diminuire i nostri desideri, poiché, se fossero inferiori a ciò che possiamo, una parte delle nostre facoltà resterebbe inattiva e non godremmo di tutto il nostro essere. Ma neppure consiste nell'ampliare le nostre facoltà, ché se i nostri desideri crescessero contemporaneamente in maggior misura, saremmo senza dubbio più infelici. Occorre invece diminuire l'eccesso dei desideri rispetto alla facoltà e ridurre a perfetta eguaglianza il potere e la volontà. Soltanto allora, trovandosi tutte le forze in azione sarà assicurata la pace dell'anima e l'uomo si sentirà in armonia. [Rousseau, Emilio 1762]
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