Ci chiediamo quindi che cosa attraverso il loro comportamento gli
uomini ci facciano riconoscere come scopo della loro vita. Sbagliare
la risposta è quasi impossibile, vogliono diventare e rimanere
felici. Questo desiderio ha due facce, una meta positiva e una
negativa: mira da un lato all'assenza di dolore e del dispiacere,
dall'altro all'accoglimento di sentimenti intensi di piacere. Il programma del principio di piacere stabilisce lo scopo della
vita ma è in conflitto tanto
con il macrocosmo quanto con il microcosmo. Ed è così assolutamente
irrealizzabile, tutti gli ordinamenti dell'universo si oppongono ad esso e potremmo dire che nel piano della creazione non è incluso
l'intento che l'uomo sia "felice".
Qualsiasi perdurare della situazione agognata dal principio di piacere produce soltanto un moderato sentimento di benessere, siamo così fatti da poter godere intensamente del solo contrasto, ma soltanto assai poco di uno stato di cose in quanto tale. Le nostre possibilità di essere felici risultano quindi limitate già dalla nostra costituzione. Provare infelicità è assai meno difficile. La sofferenza ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo che, destinato a deperire e a disfarsi, non può eludere quei segnali che sono il dolore e l'angoscia, dal mondo esterno che contro di noi può infierire con strapoteri spietati e infine dalle nostre relazioni con gli altri uomini.
Qualsiasi perdurare della situazione agognata dal principio di piacere produce soltanto un moderato sentimento di benessere, siamo così fatti da poter godere intensamente del solo contrasto, ma soltanto assai poco di uno stato di cose in quanto tale. Le nostre possibilità di essere felici risultano quindi limitate già dalla nostra costituzione. Provare infelicità è assai meno difficile. La sofferenza ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo che, destinato a deperire e a disfarsi, non può eludere quei segnali che sono il dolore e l'angoscia, dal mondo esterno che contro di noi può infierire con strapoteri spietati e infine dalle nostre relazioni con gli altri uomini.
Nessuna meraviglia se sotto la pressione di queste possibilità di
soffrire gli uomini sogliono ridurre la loro pretesa di felicità
cosi anche lo stesso principio di piacere si trasformò nel più
modesto principio di realtà, tanto che ci sentiamo felici per il
solo fatto di scappare all'infelicità.
La volontaria solitudine, il distanziarsi dagli altri sono il
riparo più immediato contro il tormento che possono arrecarci le
relazioni umane. la felicità conseguibile in al modo è ovviamente
quella della quiete. C'è naturalmente un altro modo migliore: con
l'aiuto della tecnica, guidata dalla scienza, passare in quanto
membri della comunità umana ad aggredire la natura ed assoggettarla
al volere umano. Si lavora allora con tutti per il bene di tutti. I
metodi più interessanti di prevenzione del dolore sono però quelli
che cercano d'influire sullo stesso organismo.
Il più rozzo ma anche il più efficace metodo per influire
sull'organismo è quello chimico: l'intossicazione. Esistono sostanze
estranee al corpo la cui presenza nel sangue e nei tessuti ci procura
immediatamente sensazione piacevoli alterando in pari tempo le
condizioni della nostra vita senziente al punto di renderci incapaci
di accogliere moti spiacevoli. E' noto però che questa
caratteristica degli inebrianti ne costituisce in pari tempo il
pericolo e la dannosità. Per colpa loro in talune circostanze si
sciupano inutilmente grandi quantità di energia che potrebbero venir
utilizzate per il miglioramento della sorte umana.
Il mondo esterno è causa di grave sofferenza quando ci fa
stentare, ricusa di saziare i nostri bisogni, agendo quindi su tali
moti pulsionali possiamo sperare di liberarci di parte della
sofferenza. Questo tipo di difesa dal dolore non riguarda più
l'apparato sensitivo e cerca di conseguire il dominio delle fonti
interne dei bisogni. In forma estrema ciò accade allorché le
pulsioni vengono mortificate secondo quanto insegna la saggezza
orientale e viene attuato nella pratica dello Yoga. Ciò comporta
tuttavia anche un'innegabile riduzione della possibilità di
godimento.
Un'altra tecnica per sottrarsi al dolore ricorre agli spostamenti
della libido, che il nostro apparato psichico consente e in virtù
della quale la funzione dell'apparato acquista tanta duttilità. Si
tratta di scambiare le mete pulsionali, a ciò presta il suo aiuto la
sublimazione delle pulsioni. Si riesce così ad accrescere in misura
sufficiente il piacere tratto dalle fonti del lavoro psichico e
intellettuale. Un soddisfacimento del genere, la gioia ad esempio
provata dall'artista nel creare o del ricercatore nel risolvere
problemi e scoprire il vero ha una qualità particolare. La debolezza
di questo metodo sta però nel fatto che non è applicabile
generalmente e che è accessibile solo a pochi. Presuppone
particolari disposizioni o doti, che non tutti hanno e inoltre suole
fallire di fronte alla sofferenza che è nel nostro corpo.
In altri casi la connessione con la realtà è allentata,
otteniamo il soddisfacimento attraverso illusioni riconosciute come
tali senza lasciarci turbare nel godimento dal divario che le separa
dalla realtà. La religione da cui queste illusioni scaturiscono è
quella della vita fantastica. Il primo posto fra queste soddisfazioni
fantastiche è occupato dal godimento delle opere d'arte.
Più energicamente opera un altro procedimento, esso scorge nella
realtà l'unico nemico quello che è la fonte di ogni male, quello
con cui è impossibile vivere, con cui occorre troncare i rapporti.
L'eremita volta le spalle a questo mondo, non vuole avere nulla a che
fare con esso.
Ma si può fare di più, volerlo trasformare, costruendone al suo
posto un altro cui le caratteristiche più intollerabili risultino
eliminate e sostituite da altre conformi ai nostri desideri. Chi in
una rivolta disperata imbocca tale cammino verso la felicità non
ottiene di regola nulla, la realtà è troppo vigorosa per lui.
Diventa un pazzo che non trova perlopiù nessuno che lo aiuti a
perseguire il suo delirio. [Il disagio della civiltà, Freud, 1929]