domenica 30 marzo 2014

Estensionismo e Riduzionismo nell'autismo

Il nostro discorso parte da due movimenti contrapposti e complementari che informano i ritmi della natura e delle attività umane: sono chiamati variamente ricerca del molteplice e ritorno all’uno, estensione e riduzione, distensione e contrazione, o ancora, in termini goethiani, diastole e sistole. Nelle terapie psicologiche, questa polarità si manifesta circa i modi di considerare le parole: un primo modo, riduzionista, vede le parole come strumenti destinati alla traduzione di testi scritti altrove, nella mente, nell’anima o nell’inconscio di chi parla; un secondo modo, estensionista, le vede come agenti autonomi dedicati alla creazione di mondi possibili. Dalla scelta di un’opzione o dell’altra discendono conseguenze dirette sulle tecniche d’intervento."

Dopo la giornata del 29 presso l'ASAG avevo piacere di portare la mia esperienza del “bivio” tra estensionismo e riduzionismo.
Credo che, anche nel rapportarsi al soggetto autistico, si apra lo stesso bivio tra riduzione o estensione ad altro non tanto però nel modo di intendere le parole, ma nel modo di intendere il comportamento. Nella presa in carico dell'autismo viene considerata centrale la definizione di comportamento problema, con il quale si intende un comportamento che reca disagio ad altri e solitamente viene ricondotto a desideri che non si riescono a raggiungere altrimenti. In questo caso i comportamenti del soggetto non sono considerati per quello che sono, strilla, urla, morsi e pugni, ma per quello che sostituiscono, ad esempio la comunicazione di stanchezza, di voler fare altro, l'evitare una attività spiacevole o ottenerne una piacevole. A questo modo di considerare il comportamento autistico "bizzarro" segue quella famiglia di tecniche e approcci che mirano alla modificazione del comportamento problema attraverso una molteplicità di tecniche, di stampo cognitivo comportamentale oppure attraverso ausili di comunicazione aumentativa alternativa e che vanno a soppiantare il comportamento del soggetto con altri comportamenti considerati più idonei.

A questa modalità se ne affianca (contrappone?) un'altra con la quale sono venuto a conoscenza grazie alla polemica che si è aperta, nel 2012 in Francia, per la possibile esclusione degli approcci psicoanalitici all'autismo. Eric Laurent, in "La battaglia per l'autismo" propone la clinica dei Lefort, che lavorano attraverso quelle che definiscono "catene metonimiche" di comportamenti, filosofia di intervento che trovo ben rappresentata dal floor-time, presentato da Greenspan nel secondo volume dell'opera “Bambini con bisogni speciali”.

Voglio portare il mio esempio di applicazione di questa filosofia con T., bimbo autistico di 6 anni, estremante agitato, decisamente in sovrappeso e incapace di star fermo pochi secondi. Dotato di un fortissimo carattere, sa cosa vuole e sa come ottenerlo. Si mostrava come scarsamente linguistico, sia per vocabolario, che per intenzionalità comunicativa, infatti è quasi completamente assente il linguaggio referenziale mentre possiede un linguaggio quasi esclusivamente direttivo.
Volevo riportare la catena di comportamenti (e comunicazione?) che si è sviluppata a partire da un potenziale comportamento problema, l'agitare, in modo violento, una spada di legno con la tendenza a colpire chi gli era vicino quando contrariato. Davanti a questo comportamento si aprivano due strade, una, riduzionista, considerato il comportamento come problema, da ricondurre ad una patologia della comunicazione o della programmazione motoria, avrebbe portato all'eliminazione della spada dal setting di lavoro, all'eliminazione di qualsiasi cosa potesse essere usata come una spada e l'utilizzo di punizioni (ad esempio la sottrazione di oggetti piacevoli, come l'ipad) quando veniva esibito il comportamento violento) Tutte queste azioni avrebbero potuto eliminare il comportamento in poche sedute.

La seconda strada, presa, sotto ispirazione di quanto è stato suggerito dalla lettura del testo di Laurent e della Greenspan, era il moltiplicare gli usi di questa spada andando oltre a quello di agitarla pericolosamente in aria o darla sulla testa dell'educatore.
Ricordo che il tutto è partito da una scena con un peluche, una scimmietta dalle zampe lunghe: mentre T. agitava la sua spada per la stanza, io ho preso questa scimmietta e, con voce bizzarra e squillante, ho iniziato a dire “No T. attento, così mi colpisci, no... no.... nooooooooooo!” portando la scimmia a contatto con la spada.
La voce, il clima giocoso, e chissà cos'altro ha portato T. nel gioco condiviso, con risate e divertimento, ecco che il comportamento iniziale, si era arricchito di una nuova sequenza, colpire la scimmia che si lamentava del dolore inflitto. Questo gioco è andato avanti per diversi incontri, fino ad essere arricchito ulteriormente, ecco che un altro peluche si attivava per difendere la scimmia. Il gioco, da un'agitazione disorganizzata di una spada, si era così trasformato anche in una caccia stile gatto e topo con un nuovo personaggio: il poliziotto difensore. Il gioco è andato poi ulteriormente avanti, da una parte, un altro giorno, avevo iniziato a usare una spada anche io e a parare i colpi, giocosi di T., e così, durante una sequenza di inseguimento, il peluche difensore, si è armato di spada e ha difeso la scimmietta impugnando lui stesso una spada.
L'esito di questa nuova sequenza, arricchita di azioni è stato per me emozionante, un altro giorno ancora, la scimmietta, durante una sessione di disegno, ha impugnato un pennarello per disegnare per dispetto sul foglio di T.. Lui mi guarda, divertito, va a prendere il difensore gli fa impugnare la spada e inizia a combattere con la scimmia. La spada, da agitata in aria, apparentemente senza scopo, appare impugno ad un peluche, apparentemente nel far finta che.

Il comportamento di T. poteva essere compreso come un essere contrariato oppure una incapacità di programmazione motoria e quindi poteva essere eliminato con un inganno l'inganno (togliendo tutte le spade) o la coercizione (la punizione), oppure poteva essere arricchito ulteriormente, facendone un punto di partenza per un gioco nuovo, reciproco e gioioso per entrambi. Tutto poteva finire con la spada, oppure aprirsi all'imprevedibile in una avventura vissuta in due.

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