venerdì 27 febbraio 2015

Il metodo dell'interpretazione dei sogni


Nel secondo capitolo dell'interpretazione dei sogni Freud vuole dimostrare che i sogni sono suscettibili di interpretazione andando contro la più diffusa ipotesi dell'epoca che imputava l'origine del sogno non ad un atto mentale ma ad un processo somatico. Prima di iniziare a presentare il suo metodo riporta come nella cultura profana i tentativi di interpretazione dei sogni erano a già diffusi con diverse metodologie distinguibili in interpretazioni simbolica e interpretazione cifrata. 

Nel primo caso il contenuto del sogno viene considerato nella sua totalità cercando di sostituirlo con un altro contenuto più facilmente comprensibile ma analogo. Come esempio Freud riporta il sogno del faraone, in cui le sette vacche magre divorano sette vacche grasse, nel sogno era avvenuta una sostituzione simbolica di sette anni di carestia che sarebbero seguiti sette anni di abbondanza). 

Nel nel caso dell'interpretazione cifrata invece ogni elemento del sogno viene interpretato singolarmente attraverso una chiave prefissata (un manuale dei sogni). Una variante particolare “Interpretazione dei sogni di Artemidoro” introduce oltre alla chiave applicabile in modo generale la possibilità di considerare il contesto di vita del sognatore. 

Nella sua opera Freud sottolinea come abbia cercato di riunire il senso comune e popolare dell'interpretabilità dei sogni con il metodo della scienza. La sua metodologia di indagine dei sogni si inserisce nella più ampia ricerca sulle modalità di eliminazione delle formazioni psicopatologiche (fobie isteriche, rappresentazioni ossessive). Infatti per questo scopo Freud si serviva dei racconti dei suoi pazienti e delle idee associate ai sintomi e nelle sue sedute si accorse come spontaneamente i pazienti arrivavano a raccontare i propri sogni, da qui il suo tentativo di indagarli come sintomi. 

Freud in queste pagine descrive due atteggiamenti riguardo alle modalità di racconto dei sogni, la prima è una riflessione su di essi, parziale in quanto guidata dal senso critico, la seconda invece, è completamente imparziale perché il paziente riferisce tutto ciò che gli viene in mente liberamente. E' da questo materiale, e solo questo, che considera possibile l'interpretazione delle idee patologiche e delle creazioni dei suo sogni. Assimila inoltre questo stato, in cui le idee affiorano liberamente alla coscienza, allo stato precedente l'addormentamento o a quello dell'ipnosi, definendolo come lo stato psichico di attenzione mobile. 

Nelle pagine successive, dopo aver descritto l'esito dannoso del senso critico sulla creatività, passa a specificare la sua metodologia di indagine. 

Il primo passo consiste nel non considerare il sogno nel suo insieme, ma raccogliere le associazioni o idee di fondo su singoli segmenti di sogno, specificando come il suo metodo è attinente non tanto a quello simbolico, che interpreta il sogno nel suo insieme, ma quello cifrato, che considera il sogno un conglomerato di rappresentazioni psichiche. 

Prima di passare all'interpretazione di un suo sogno Freud specifica alcuni aspetti di metodo, infatti afferma come disponga di grande materiale derivato dai sogni dei suoi pazienti nevrotici, ma che questo materiale, se pur utile nell'indagine della nevrosi, potrebbe essere considerato non accettabile per spiegare il funzionamento dei sogni nel soggetto sano. Non può però utilizzare i sogni di persone sane di sua conoscenza o quelli citati come esempi nella letteratura riguardante la vita onirica in quanto per essere interpretabile un sogno deve essere letto all'interno dell'analisi di un individuo in quanto è certo “che lo stesso contenuto nasconda un significato diverso a seconda delle persone diverse e dai contesti diversi”. L'unica alternativa che gli rimane è la scelta di un proprio sogno, accettando la necessità di “confessare le le sue debolezze per chiarire un problema oscuro”.

Premessa al sogno
Irma era una ‘giovane signora’, amica di famiglia che Freud aveva curato per una sua angoscia isterica, con risultati solo parzialmente soddisfacenti. Un collega più giovane di Freud, Otto , aveva incontrato durante le vacanze estive Frau Irma, ed aveva riferito a Freud che la sua paziente stava meglio, «ma non completamente bene». Le parole ed il tono dell’amico Otto avevano irritato Freud, che vi aveva scorto una sorta di rimprovero per aver fatto alla paziente promesse di guarigione che non era stato poi in grado di mantenere. Per questo la sera prima del sogno aveva scritto la cartella clinica di Irma, per farla avere al Dr. M., un amico comune e principale esponente del loro gruppo di lavoro. 

Sogno: Un grande salone – stavamo ricevendo numerosi ospiti. – Tra di essi c’è Irma. Io la presi in disparte, come per rispondere alla sua lettera e rimproverarla di non aver ancora accettato la mia «soluzione». Le dissi: «Se hai ancora dei dolori è davvero solo colpa tua». Mi rispose: «Se solo tu sapessi che dolori ho ora in gola, nello stomaco e nel ventre, mi soffocano». Io mi spaventai e la guardai. Era pallida e gonfia. Pensai che dopo tutto dovevo aver trascurato qualche disturbo organico. La portai vicino alla finestra e le guardai in gola, e lei mostrò una certa riluttanza, come le donne con la dentiera. Io pensai che veramente non c’era bisogno di farlo. Poi lei aprì bene la bocca e sulla destra trovai una grande macchia bianca; in un altro punto vidi delle estese croste grigiastre su delle forme notevolmente incurvate, che imitavano evidentemente le cavità nasali. Chiamai subito il Dr. M. ed egli ripeté l’esame e lo confermò… Il Dr M. sembrava molto diverso dal solito, era pallido, zoppicava e non aveva la barba… Anche il mio amico Otto era ora vicino a lei, e il mio amico Leopoldo stava percuotendo il suo petto e diceva: «Ha un’area ottusa in basso a sinistra». Indicò anche che una parte della pelle sulla spalla sinistra era infiltrata (lo sentii come lui, nonostante il vestito)… M. disse: «Non c’è dubbio, si tratta di un’infezione, ma non importa: interverrà la dissenteria e le tossine saranno eliminate»… Noi conoscevamo anche l’origine dell’infezione. Non molto prima, quando lei si sentiva poco bene, il mio amico Otto le aveva fatto un’iniezione di propile… propili… acido /propionico… rimetilammina (e vidi davanti a me la formula stampata in grassetto)… Iniezioni di quel genere non si dovrebbero fare così sconsideratamente… E probabilmente la siringa non era pulita. 

Interpretazione del sogno 

Nelle pagine successive Freud, segmento per segmento, frase per frase, cerca di interpretare il significato del suo sogno. Da una prima lettura quello che mi è saltato all'occhio sono le serie di frasi come: "mi viene in mente", "mi ricordò improvvisamente un'altra esperienza", "cominciai a sospettare di aver sostituito" che lasciano intendere la metodologia di analisi del sogno: usare come materiale per costruire l'interpretazione i pensieri contigui a quelli espressi nel racconto.

Prendo ad esempio un passaggio: "La portai vicino alla finestra per guardarle in gola. Ella mostrò una certa riluttanza, come le donne che hanno una dentiera. Io pensai che veramente non c'era bisogno di farlo.”

e la relativa interpretazione:

Il modo in cui Irma stava vicino alla finestra mi ricordò improvvisamente un'altra esperienza. Irma aveva un'intima amica che io stimavo molto [...] Mi veniva ora in mente che negli ultimi mesi avevo avuto tutte le ragioni per credere che anche quest'altra signora fosse isterica. Che cosa conoscevo delle sue condizioni? Solo una cosa: che, come l'Irma del mio sogno soffriva di soffocamento isterico. Quindi nel sogno avevo sostituito la mia paziente con l'amica. [...] Quale poteva essere la ragione per cui l'avevo scambiata nel sogno con la sua amica? Forse era perché mi sarebbe piaciuto scambiarla: o sentivo maggiore simpatia per la sua amica o avevo una migliore opinione della sua intelligenza. Irma infatti mi sembrava sciocca per non aver accettato la mia soluzione. La sua amica sarebbe stata più saggia, cioè avrebbe ceduto prima.” [pp. 86-87, L'interpretazione dei sogni Edizione Newton].

Da questo breve testo del capitolo desumiamo anche un secondo aspetto che si sintetizza nella celebre frase che "il sogno è realizzazione di un desiderio".
Nel segmento in particolare Freud afferma di essersi voluto vendicare di Irma sostituendola con una sua amica migliore. 
In generale invece, il sogno rappresenta la soddisfazione dei desideri sorti in Freud a seguito delle informazioni ricevute da Otto e la stesura della cartella clinica nella sera precedente al sogno: il desiderio di punire ed umiliare sia Irma, sia il suo amico e collega Otto oltre che il Dr. M. Di Otto si era vendicato attribuendogli una iniezione evidentemente pericolosa del Dr. M. facendogli pronunciare un parere scientificamente discutibile sulla dissenteria, come rimedio all’intossicazione. Inoltre il sogno liberava Freud dalla responsabilità per le condizioni di Irma, dimostrando che esse erano dovute ad altri fattori (nel sogno era presente la paura, che in realtà era sollievo che i sintomi della donna fossero riconducibili a fattori organici), infine nel sogno era presente una più generale tematica di preoccupazione per la salute sua, e di altre persone e coscienziosità professionale, che lo difendevano, almeno parzialmente dall'accusa di essere un medico superficiale. 

lunedì 23 febbraio 2015

La parola al crepuscolo delle cose

A partire dalla fondazione del logos di Aristotele, dal quale dire è significare, in regime di non contraddizione, nella morsa di un principio e d'una fine, uniti da una lunga catena di cause ed effetti, ad ogni parola segue un "qualche cosa", e solo uno, a cui però fa da parallelo un sentimento d'inquietudine, noto a chi cerca di dare un nome ad un "qualche cosa", per il carattere mortifero del parlare nel quale lentamente la definizione cede, tanto più è vicina tanto più appare vuota. Nella lettura che Jullien fa del taoismo viene proposto un altro modo di intendere il parlare, svincolato da questo "qualche cosa", che appare al limite dell'insensato se letto con mente occidentale. Un taoismo che sprona a parlare senza parlare, come sprona ad agire senza agire, a dar battaglia senza dar battaglia.

Nel suo testo "parlare senza parole" Jullien va alla ricerca di risorse perdute dal pensiero occidentale nell'uso della parola, voglio proporre due paragrafi che permettono di accedere alla penombra (il tao è indistinto e vago), di tali risorse. Il primo ci informa sul rischio della definizione, non tanto come qualcosa di mortifero per l'oggetto, ma che recidendolo dal flusso indistinto delle cose ci fa perdere la sua concretezza. Il secondo su un uso nuovo della parola, attraverso l'accesso a quanto rimane latente tra l'affermazione di due contrari, nella formula del "parlare senza parlare"

La definizione dice l'immobile, non l'effettivo.
 
"La definizione è passibile di farci perdere non tanto l'essenza intima, individuale e quindi ineffabile della cosa, quanto l'effettività attraverso cui qualcosa è in grado di verificarsi, di realizzarsi. Infatti secondo il pensatore taoista, vi è non-coincidenza, se non palese inversione o addirittura contraddizione, tra il segno caratteristico, o determinatezza, che la definizione riesce a cogliere, e ciò che a titolo processuale ha permesso il prodursi di tale determinazione. Sotto la determinatezza che la definizione enuncia, è lo sterile che viene colto, non il fecondo. La definizione esprime la capacità delle cose mentre essa si sta già disperdendo: ne esprime solamente l'uniforme, l'insipido e l'immobile. Con immobile non intendo semplicemente ciò che non si muove, piuttosto ciò che è morto e pietrificato, in quanto già abbandonato dalle sue capacità. Perciò questo immobile è anche ciò che viene esibito: la definizione esprime quanto viene esibito dalle cose, esprime ciò che di esse, funzionalmente, si rende visibile e le fa riconoscere e individuare. La definizione le cattura a valle, allo stadio in cui le loro potenzialità di prodursi, esibendosi e diventando completamente patente, si è già irrigidita e inaridita: i tratti caratteristici sono dei tratti induriti, già sclerotizzati; a essa sfugge il loro intenso "a monte", le recide dal loro emergere."

Leggendo queste righe me ne sono venute in mente altre sulla relazione tra filosofia e il suo tempo, la nottola di Minerva, descritta da Hegel:

"Del resto, a dire anche una parola sulla dottrina di come dev'essere fatto il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell'e fatta. Ciò che il concetto insegna, la storia mostra appunto che è necessario: che, cioè, prima l'ideale appare di contro al reale, nella maturità della realtà, e poi esso costruisce questo mondo medesimo, colto nella sostanza di esso, in forma di regno intellettuale. Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato, e dal chiaroscuro, esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo." G.W.F. Hegel 1820

Parole che non uccidono la cosa, ma che la colgono solo quando è ferma, oppure che colgono solo quanto della cosa non è utilizzabile, è snaturato. Jullien continua:

"Prendiamo un uomo "pio"; qualcuno che gli altri chiamano pio, che si crede pio, che in ogni modo pretende di esser pio: già immaginiamo che la sua sarà una pietà spenta, piatta, gretta, meschina. La sua virtù non è ipocrita, ma povera: per il semplice fatto che si lascia identificare da segni tangibili essa perde lo slancio che, dispiegato senza oggetto né progetto, dovrebbe effettivamente costituire il suo principale pregio; quello slancio che per sua natura, è però troppo intenso e indiviso, troppo diffuso e allo stesso tempo disinvolto perché lo si possa isolare e, di conseguenza, identificare. Osservate d'altra parte come le virgolette prudentemente aggiunte, persino nell'oralità "i piccoli segni mimati con le dita", siano un prezioso avvertimento. Sono indice di una diffidenza. Graffiano, a suo passaggio, ciò che è troppo agevolmente scivola nella parola, ciò che è troppo accettato, troppo facilmente identificato per non risultare sospetto: questa determinatezza è troppo marcata e generalmente accettata perché non nasca il sospetto che si sia un po' svuotata dal suo senso. Attraverso le virgolette io denuncio l'eccessiva esplicitazione formale che troppo agevolmente coincide con la propria definizione e così la metto nuovamente a distanza. Saranno sufficienti a far intuire le mie riserve, io stesso non sono più sicuro di farmi completamente carico di un enunciato che è troppo conosciuto, troppo ben collocato all'interno dei termini della definizione e come tale etichettato per non esigere il proprio rovesciamento."

Ciò che agli occhi del pensatore taoista penalizza la definizione non è quindi il fatto che le cose siano insufficientemente stabili e le proprietà che le qualificano siano in divenire, ma piuttosto che la definizione, recidendo queste proprietà dal loro divenire e ripiegandole su loro stesse non lasci più apparire la qualità delle cose nel proprio emergere. Cosa accadrebbe se l'uomo di prima invece d'esser "pio" fosse "estensionista"?

Jullien continua:


Entrare nel pensiero taoista significa esattamente riaprire la possibilità di un "tra" i contrari. All'interno dell'enunciato una contraddizione non distrugge i contrari, e neppure li concilia, bensì attraverso il proprio negare, essa libera ciò che il proprio affermare reca in sé di limitativo e vincolante, di sterile e forzato. Nel pensiero taoista il parlare si intende come parlare senza parlare. Può essere più facile intenderlo con un altra contraddizione: agire senza agire, che non significa che non agisco, ma neanche che agisco, poiché ogni agire conduce generalmente all'attivismo. "Non agisco", nel senso in cui mi guado bene dall'agire allo stadio dell'a valle, quello del tangibile e dell'immobile, allo stadio delle azioni concordate e puntuali che, inserendosi in situazioni anche solo po' irrigidite, necessariamente suscitano la reticenza degli altri quanto la resistenza dei fatti. E tuttavia "agisco", nel senso che opero a monte, più vicino alla sorgente dell'effettività, allo stadio in cui la configurazione delle cose è ancora duttile e disponibile, cioè in grado di accogliere il mio intervento senza una rigidità sufficiente a contrastarlo. Non oso agire poiché evito di affrontare il corso delle cose allo stadio in cui, irrigidito, esso mi richiede in cambio di gravare con la mia volontà per forzare le condizioni e imporre loro il mio desiderio e la mia intenzione. Grande dispendio e poco effetto. Di contro agisco allo stadio del "non c'è" vale a dire allo stadio in cui, dato che nulla si è ancora costretto a distaccarsi e stagliarsi come azione individuale, ma può confondersi con la psicosessualità delle cose e unirsi alla sua propensione: quello stadio in cui non sono ancora immobilizzato dalle determinazioni, lo stadio in cui le definizioni vanno ad arenarsi, e posso operare senza problemi, in modo facile, in accordo non osando agire "favorisco quanto viene da sé"

Una formulazione che sembra essere una strategia d'azione. Ne è una riprova il fatto che essa è valida in ambito militare (il trattato del Laozi si presta a numerosi sviluppi nell'ambito della strategia bellica). Nella gestione del conflitto e nella condotta delle operazioni "avanzo" in modo più sottile di quanto non farei pretendendo semplicemente di guadagnare terreno: senza quindi aver bisogno di forzare eroicamente le linee avversarie, di presidiare un numero sempre maggiore di postazioni - sempre dispendiosi da proteggere - e senza bisogno di distruggere il nemico con azioni clamorose e assalti ostinati. La mia avanzata risulta tanto più reale per il fatto che non sono tenuto a concretizzarla in modo localizzato e per il fatto che essa consiste anzitutto nella progressiva erosione, fisica e morale, del capitale di resistenza del mio avversario. Poiché non si lascia relegare, e quindi ridurre, a delle posizione determinate, la superiorità che accumulo dalla mia parte risulta tanto meno contrastabile. 

Agire senza agire lascia così trasparire al centro stesso della contraddizione un "tra" più sottile: tra passività e bellicismo, tra ciò che da un lato, sarebbe pura debolezza e, dall'altro, un inutile rischio si afferma che l'arte della strategia consiste nell'accogliere l'avversario e non nell'attaccarlo, nell'indurlo allo sfinimento astenendosi da ogni aggressività (e vinse il generale inverno). E' necessario infatti trattenersi dal fare la guerra, e ancor di più dallo sfidare l'avversario, per condurla in maniera opportuna. Infatti l'avversario che si appresta a combattere al livello dei segni tangibili si lancia alla carica con pesantezza e affonda: per il semplice fatto che non riesce a individuarmi come bersaglio egli vede il proprio potenziale bellico consumarsi invano e, impacciato dalle postazioni che assunto sul terreno di guerra, e che ora lo paralizzano, si trova ridotto all'inerzia e si lascia sopraffare. Al contrario, non arenandomi in alcuna posizione fissa, sarò incline a rimanere all'erta: l'aggressività dell'avversario sarà di per sé sufficiente a mantene viva la mia reattività e io riuscirò a distruggerlo senza neanche doverlo affrontare. 

E quindi similmente posso dire "parlare senza parlare". Non rinuncio a parlare, ma libero subito la mia parola da ciò che essa ha di limitativo, legato al senso, che è necessariamente uno, e perciò di sterile e vincolante: io libero la mia parola da ciò che la costringe a dire, così come ho liberato il mio agire da quanto esso avevo di attivo. Questa parola senza parlare, che non possiede più nulla di individuato o attribuito, che non è più sottomessa alla determinazione di un senso e non verte più su un oggetto, aspira invece a un'intesa implicita che diviene immediata, come un flusso incitativo da un interiorità all'altra, che si dispensa dal meticoloso strumentario delle parole e lascia lontano dietro di sé qualsiasi contenuto astratto, visto come rigido e sclerotizzato. Quanto l'intenzione viene raggiunta, dimenticate la parola, poiché la parola ha come unica ragion d'essere quella di servire a catturare questa intenzione o tensione interiore: l'unica cosa che conta e l'al-di- à della parola. La pura strumentalità della parola viene poi definitivamente accantonata: infatti "una volta che il pesce è stato catturato si dimentica la nassa", "una volta che la lepre viene presa, di dimentica la trappola".
(Continua: parola e dia-logo)  [Parlare senza parole, Francois Jullien, 2006]

mercoledì 4 febbraio 2015

Introduzione alla psicologia analitica


Nelle prime due conferenze del 1935, tenute alla Tavistock Clinic di Londra, Jung descrive gli aspetti principali della psiche, nella struttura e nel funzionamento.

Definisce la coscienza come il prodotto della percezione e dell'orientamento nel mondo esterno; anche se inverte la sua relazione con l'inconscio rispetto al punto di vista freudiano, per il quale il materiale dai sensi passa alla coscienza e poi, sotto la spinta della rimozione, precipita nell'inconscio. Per Jung quel che viene prima è l'inconscio, mentre la coscienza ha origine da una condizione inconscia. Afferma poi che la coscienza può esser tale solo attraverso un io al quale rapportarsi, definendola quindi come il rapporto dei fatti psichici con l'Io.

Definisce l'io come un dato complesso, costituito in primo luogo da una generale consapevolezza del proprio corpo, della propria esistenza e in secondo luogo dai propri dati mnestici. Conclude descrivendo l'Io come: "un complesso di fatti psichici, un complesso dotato di un grande potere di attrazione, come un magnete, che attrae contenuti dall'inconscio, da quella oscura sfera di cui non sappiamo nulla; attrae anche impressioni dall'esterno, e tutto quel che entra in rapporto con l'Io diventa cosciente. Altrimenti rimane inconscio. "

Identifica poi diverse funzioni, che consentono alla coscienza di orientarsi nel campo dei fatti ectopsichici ed endopsichici. Per ectopsichico viene inteso un sistema di rapporti tra i contenuti della coscienza e le impressioni che provengono dall'ambiente. E' un sistema di orientamento che serve per mettersi in rapporto con i dati del mondo esterno trasmessi dalle funzioni sensoriali. Le funzioni endopsichiche sono invece un sistema di rapporti tra i contenuti della coscienza i processi che si presume siano in atto nell'inconscio.

Nel primo gruppo rientrano: la sensazione, il pensare, il sentire e l'intuizione. Con la sensazione intende la percezione sensoriale, che non dice che cosa sia l'oggetto e non informa in alcun modo su di esso, ma informa soltanto sulla sua presenza. La seconda funzione, quella del pensare, serve per dire che cosa è una certa cosa e darle un nome, e oltre ad implicare la percezione comporta anche un giudizio. La terza funzione è quella del sentire, che Jung include fra le funzioni razionali, e ci informa attraverso le sue tonalità affettive sul valore delle cose, ci dice se una cosa è accettabile o gradevole, in ultima istanza cosa conta per noi.
Riepilogando, la sensazione ci informa sul fatto che c'è una determinata cosa, il pensare ci dice che cosa è, mentre il sentire afferma quanto essa conta per noi. Dall'incontro con un altra categoria, il tempo, Jung estrare un'altra funzione, che ci informa sull'origine, e sul destino delle cose "un presentimento in proposito, o un fiuto", "un presentimento". Definisce questa funzione come intuzione, un insieme di capacità sulle quali l'uomo farà affidamento ogni qualvolta si debbano affrontare situazioni completmente nuove, senza poter contare su valori o concetti consolidati. 

Nella definizione della croce delle funzioni, Jung identifica un ulteriore concetto, quello di funzione inferiore. Ciò deriva dal fatto che le coppie Pensiero-Sentimento e Sensazione-Intuzione sono inversamente proporzionali in quanto tendono ad escludersi vicendevolmente. Ad una funzione particolarmente usata, ci sarà una particolare quota di indifferenziazione in quella opposta. La funzione inferiore non possiede le qualità di una funzione differenziata. Quest'ultima, in genere, può essere guidata dall'intenzionalità e dalla volontà. Mentre quando una funzione è indifferenziata, i suoi contenuti (le emozioni, i pensieri) esercitano sulla persona una particolare sorta di fascinazione, tendono a possedere il soggetto portandolo ad averne paura. Ma di contro la funzione inferiore, per essere più prossima all'inconscio, apre al soggetto una porta su di esso. [Introduzione alla psicologia analitica, C. G. Jung 1981]