mercoledì 3 dicembre 2014

La gioia di vivere

Forse il sistema migliore per capire ciò che intendo per gioia di vivere sarà di riflettere sui diversi modi in cui si comportano gli uomini quando siedono a tavola. Vi sono di quelli per i quali il pasto è unicamente una noia; per buono che sia il cibo non lo trovano interessante. Hanno gustato già prima delle vivande eccellenti, probabilmente non hanno mai dovuto saltare un solo pasto. Non hanno mai saputo che cosa voglia dire restare digiuni fino a quando la fame diventa una passione rabbiosa, ma sono giunti a considerare i pasti semplicemente come avvenimenti convenzionali, dettati dalla moda della società nella quale vivono. Come ogni altra cosa, i pasti sono noiosi, ma è inutile dar loro troppo peso perché niente altro sarebbe meno noioso. Poi vi sono gli invalidi, che mangiano per un senso del dovere, perché il dottore ha detto loro che è necessario nutrirsi per mantenersi in forza. Poi vi sono gli epicurei, che cominciano speranzosi, ma poi trovano che nessun piatto è stato cucinato bene come si dovrebbe. Poi vi sono i golosi, che si gettano sul cibo con ingordigia, mangiano tropo, diventano pletorici e di notte russano. Finalmente vi sono coloro che cominciano con sano appetito, sono soddisfati delle vivande, mangiano fino a sazietà e poi si fermano. L'uomo felice corrisponde all'ultimo dei nostri mangiatori. Ciò che la fame è rispetto al cibo, la gioia di vivere è rispetto alla vita. L'uomo che è seccato di mettersi a tavola corrisponde alla vittima dell'infelicità byroniana. L'invalido che mangia per un senso del dovere corrisponde all'asceta, il goloso al voluttuoso. L'epicureo corrisponde a quel tipo di persone difficili e schizzinose che condannano come non estetici metà dei piaceri della vita. Questi, ad eccezione forse del goloso, nutrono disprezzo per l'uomo di sano appetito e si considerano a lui superiori. Dall'alto del loro scetticismo abbassano lo sguardo su coloro che disprezzano come anime semplici. Per parte mia non nutro simpatia per questo modo di vivere. [...] Più sono le cose alle quali un uomo si interessa, e maggiori occasioni di felicità egli ha, e tanto meno è in balia del destino, poiché se perde una cosa può ripiegare su di un'altra. La vita è troppo breve per potersi interessare a tutto, ma è bene interessarsi a tutte quelle cose che sono necessarie per riempire la nostra giornata. [...] La mente è una macchina strana che può combinare nei modi più vari e sorprendenti i materiali che le vengono offerti, ma senza materiali del mondo esterno è impotente e deve prendersi da sé i suoi materiali, poiché gli avvenimenti diventano esperienze soltanto mediante l'interesse che suscitano in noi: se non ci interessano, non ci servono. Quindi l'uomo la cui attenzione è volta all'interno non trova nulla che sia degno d'esser notato, mentre l'uomo la cui attenzione è volta all'esterno può trovare in sé, nei rari  momenti in cui esamina la sua anima, il più vario e interessante assortimento di ingredienti separati e quindi riamalgamati in forme belle od istruttive. [...] Si ricorderà che tra i nostri diversi tipi di convitati abbiamo incluso il goloso, che non eravamo preparati a lodare. Il lettore può pensare che l'uomo felice di essere al mondo da noi decantato, non differisce in modo definibile dal goloso. Ora è venuto il momento in cui dobbiamo tentare di fare una distinzione tra i due tipi più definiti. [...] In una vita buona deve esistere un equilibrio tra le diverse attività, e nessuna di esse deve essere spinta al  punto da rendere impossibile le altre. Il goloso sacrifica tutti gli altri piaceri a quello del mangiare e così facendo diminuisce la felicità complessiva della sua vita. Gli alcolizzati e i ninfomani sono esempi palesi della stessa specie di cose. Il principio, in simili questioni è evidente.  Tutti i nostri gusti e desideri devono adattarsi allo schema generale della vita. Se devono essere una fonte di felicità bisogna che siano compatibili con la salute con l'affetto di coloro che amiamo e con il rispetto della società nella quale viviamo. Vi sono delle passioni alle quali ci si può abbandonare quasi completamente senza oltrepassare questi limiti, altre no. L'uomo. poniamo che ama gli scacchi se è uno scapolo provvisto di mezzi, non  ha bisogno di porre freno di sorta alla sua passione. L'alcolizzato e il goloso, anche se non hanno legami sociali, sono poco saggi da un punto di vista strettamente personale, perché il loro vizio va a scapito della loro salute, procura loro ore di sofferenza in cambio di pochi minuti di piacere. Certe cose formano una cornice entro la quale ogni passione deve vivere, se non si vuole che diventi fonte di sofferenza. Tali cose sono la salute, il possesso delle proprie facoltà, un reddito sufficiente per garantirsi il necessario, e i più essenziali doveri sociali, quali quelli verso la moglie e i figli. L'uomo che sacrifica queste cose agli scacchi è sostanzialmente malvagio quanto l'alcolizzato. Io credo che vi sia sempre qualche recondita differenza psicologica tra il goloso e l'uomo di buon appetito. L'uomo nel quale un solo desiderio arriva all'eccesso a scapito di tutti gli altri, è solitamente un uomo che ha in sé qualche profonda fonte di scontento, che cerca di sfuggire a uno spettro. [...] Non è il piacere nell'oggetto in sé che cerca, ma l'oblio. [...] Ciò che però costituisce una grandissima differenza è se l'oblio viene cercato in modo stupido, o invece esercitando delle facoltà in se stesse desiderabili. La cosa è diversa quando l'uomo cerca l'oblio nel bere o nel gioco perché è un eccitamento senza profitto. [...] Una genuina voglia di vivere, non della specie che è in realtà una ricerca dell'oblio, fa parte della naturale conformazione degli esseri umani eccetto quando sia stata distrutta da circostanze disgraziate. I bambini si interessano a tutti ciò che sentono e vedono; il mondo è pieno di sorprese per loro ed essi sono sempre appassionatamente impegnati nella ricerca della conoscenza, non naturalmente della conoscenza scolastica, ma di quella conoscenza che consiste nell'acquistare familiarità gli oggetti che attirano la loro attenzione. L'uomo che non è mai stato fondamentalmente ostacolato, serberà il suo naturale interesse per il mondo esterne, e fintanto che lo serba, troverà la vita piacevole, a meno che la sua libertà non sia indebitamente limitata. [...] Alcuni uomini serbano la gioia di vivere ad onta degli ostacoli frapposti dalla vita civile, e molti uomini potrebbero farlo se fossero liberi dagli intimi conflitti psicologici che consumano gran parte della loro energia. La gioia di vivere richiede più energia di quella sufficiente per il lavoro necessario, e questo a sua volta richiede che la macchina psicologica lavori regolarmente e senza inciampi. Delle cause che favoriscono questo lavoro regolare avrò ancora da dire nei capitoli che seguono. [La conquista della felicità, B. Russell]

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