mercoledì 26 giugno 2013

Oltre al rumore dell'altro 2/2

La comunicazione, in quanto «fatto relazionale irriducibile» viene ad essere considerata la forma primaria di riconoscimento tra gli uomini e il luogo di fondazione dell'intersoggettività in cui si esprime la reciprocità sottesa ad ogni relazione umana. Il lavoro di cooperazione verbale, che ne costituisce gran parte della fenomenologia, è una vera e propria attività congiunta, tale per cui gli enunciati di un interlocutore si intrecciano con gli enunciati dell'altro.
In una prospettiva di ‘interazione comunicativa’ attorno al circuito che lega i due interlocutori viene a crearsi un sistema d'ordine superiore
Le parole pronunciate da ciascuno dei due parlanti sono indirizzate sia a sé, sia all'altro, dando luogo, per così dire, ad un fenomeno di ‘doppio ascolto’. Significare e comprendere non sono più azioni indipendenti; detto in altri termini non si significa senza comprendere. Un parlante ha infatti bisogno di conoscere come l'altro ha ricevuto il suo messaggio per sapere cosa ne è stato, attraverso una sorta di retro-comprensione. Analogamente, ciascuno riceve - almeno in parte, precisa Jacques - ciò che avrà potuto emettere: ‘ciò che tu comprendi è ciò che io sono riuscito a significare’.
Ci troviamo quindi di fronte ad un sistema di interazione comunicativa, caratterizzato dalla sottomissione dei due parlanti al “funzionamento auto-organizzato” della diade che viene a costituirsi a seguito del loro accoppiamento relazionale. I parlanti si sottomettono quindi al funzionamento di del sistema che costituisce lo spazio interlocutorio comune, lo “spazio logico dell'interlocuzione” (Jacques,1985).

In questa prospettiva, ogni evento comunicativo viene ad essere un incontro dialettico tra due processi, un processo di espressione in cui un Io-comunicante si rivolge ad un Tu-destinatario - enunciatario ed un processo di interpretazione dove un Tu-interpretante si costruisce, a sua volta, un'immagine di Io-enunciatore , incrociandosi in un sottile gioco di attese e riconoscimenti reciproci. Sulla base di queste premesse, la comunicazione tra due interlocutori diviene di fatto uno scambio tra quattro personaggi. Dalla parte dell'io c'è un soggetto comunicante che agisce e si esprime ma vi è anche un Io-enunciatore che si ‘mette in scena’ attraverso le proprie parole e che attraverso di esse esprime le proprie intenzioni. Tutto questo, dal punto di vista del Tu, rappresenta l'immagine costruita dell'intenzionalità dell'Io-comunicante, realizzata appunto nell'atto di espressione. Dalla parte del Tu troviamo invece il Tu-destinatario-enunciatario, vale a dire l'interlocutore costruito dall'Io come proprio destinatario-ideale, in sintonia con l'atto di enunciazione compiuto, ma vi è anche il Tu-interpretante, un soggetto che agisce indipendentemente dall'immagine costruita dall'Io, in rapporto alla quale comunque si definisce confermandola o rifiutandola. L'ermeneutica dell'Io-enunciatore e delle sue intenzioni proposta dal Tu-interpretante può evidentemente divergere da quanto l'Io stesso progetta e sperimenta. Questo sdoppiamento dell'Io e del Tu, pur non essendo di immediata intuizione, di fatto aiuta a spiegare in termini cooperativi molte delle difficoltà che si incontrano di continuo nella comunicazione in rapporto allo scarto tra l'attività del locutore e quella dell'allocutario, tra intenzione e interpretazione, tra produzione e ricezione. E ciò costituisce un notevole contributo alla comprensione dell'attività interpretativa - di fatto il motore principale dell'interlocuzione - compiuta ad ogni turno di parola sui piani cognitivo e psicosociale.

Oltre al rumore dell'altro 1/2


Anzieu e Martin cercano di dare conto delle interpretazioni erronee, delle incomprensioni paradossali, dei controsensi più flagranti, dei conflitti più evidenti presenti nella comunicazione descrivendola  come un rapporto tra due o più personalità impegnate in una situazione comune e che discutono tra loro a proposito di significati.  Il processo comunicativo viene ad essere concepito come l'incontro di due o più ‘campi di coscienza’ che appartengono a soggetti caratterizzati da una precisa identità psicosociale. Ciò che interessa ad Anzieu e Martin è la descrizione della successione di filtri che si frappongono tra l'intenzioni e la ricezione dei partecipanti. Il loro profilo bio-psico-sociologico è considerato una variabile interveniente nella spiegazione dei vincoli che caratterizzano i loro comportamenti comunicativi, gli uomini non comunicano unicamente una certa quantità di informazioni, ma scambiano significati, la comunicazione risulta facilitata se questi condividono lo stesso universo simbolico e gli stessi quadri di riferimento che, con il sistema valoriale costituiscono veri e propri ‘filtri’ rispetto al flusso della comunicazione stessa.

Il linguaggio non viene più considerato come un mezzo di trasferimento di informazioni da una mente ad un'altra, bensì come “dimensione essenziale della cultura in cui si iscrivono la maggior parte dei valori e delle rappresentazioni sociali su cui si fondano gli scambi e le pratiche collettive”. Sempre meno ci si interessa ai meccanismi di trasmissione di informazioni, mentre cresce l'attenzione ai processi di elaborazione e condivisione dei significati. La comunicazione viene ad assumere così un ruolo di primaria importanza per la comprensione del processo di fondazione dei legami sociali. [Dalla comunicazione alla conversazione, Galimberti 1993]

lunedì 24 giugno 2013

Verso i sistemi di interazione comunicativa

“Quando mi dici qualcosa, io verifico di aver compreso il tuo messaggio ripetendolo con parole mie, perché se lo ripetessi con le tue parole tu potresti dubitare che io abbia capito. Ma se uso le mie parole il risultato è che cambio il tuo significato, anche se solo di poco… La conversazione è come giocare a tennis con una palla fatta di gomma semiliquida, che ha una forma diversa ogni volta che attraversa la rete…” Dalla comunicazione alla conversazione

mercoledì 19 giugno 2013

Se una para-democrazia si fa dogma (Appunti sulla democrazia)

A segnare la corrente crisi dell’idea e della pratica di democrazia, concorre in maniera ancora più determinate un altro fenomeno, che qui chiamerò: “rumore”. Se vogliamo fare della democrazia un regime nel quale possa avvenire un arricchente confronto pluralistico tra gli individui non possiamo ignorare il fatto che a dare impulso a un simile regime non è tanto la quantità, bensì la qualità di tale confronto pluralistico. C'è una determinante aggiunta: questo rumore non è affatto casuale o neutrale, al contrario, esso è strumento di (ri)produzione e mantenimento di un determinato tipo di controllo sociale, che in parte è direttamente amministrato da specifici interessi politici ed economici e in parte vive ormai di vita propria, tramite le logiche efficientiste e calcolanti della razionalità strumentale, che la tecnologia estremizza e divulga. Dalla rimozione del rumore, ne va quindi della possibilità di un’autentica democrazia (direi anche, dell’autenticità in toto). I problemi di oggi, come, appunto, il terribile fenomeno del rumore tramite una proliferazione indiscriminata dei discorsi. E il tutto, paradossalmente, spacciando questa operazione come il massimo della libertà (l'attuale articolazione politica di questo fenomeno è la cosiddetta web-democrazia diretta), al punto tale che chi ne propone una qualsiasi forma di regola(menta)zione, calibrazione viene subito etichettato come un censore oscurantista. Il mondo si trasforma così in rumore, oscurando i discorsi di valore e producendo di fatto una forma di censura (paradossalmente definita come libertà) molto più efficace della precedente, ingenuamente basata sul silenziamento diretto. Viene intaccata la possibilità di "riconoscimento" della differenza di suono fra un discorso significativo ed uno che non lo è: entrambi appaiono come elementi simili del/nel mare magnum. Mi sembra infatti che sia giunto il tempo di ragionare senza paura attorno alla costituzione di dispositivi selettivi, direi addirittura elitari, che possano filtrare dalla quantità la qualità, senza per questo abdicare al progetto illuministico del sapere aude. Solo così il sapere aude nel senso che, mantenendosi essenzialmente e radicalmente distinto dal "rumore", contribuisce a prendere posizioni di qualità. [Sollazzo, 2013 ]

venerdì 7 giugno 2013

Il sofà sui binari

Voglio tornare da Ermelinda. Questo è il mio primo e unico desiderio. Lei non mi farebbe pesare la mia anormalità, lei starebbe ad ascoltare i miei vaneggiamenti senza ribattere e mi amerebbe nonostante e a dispetto di me stesso, lei desidera con tutta se stessa, e mi ha dato un nome... con lei avrei una vita normale, suppongo, con o senza passato... ma questo certo, a Severino non posso dirlo, non saprebbe immaginarlo. Accetterebbe che un matto gli parlasse di folletti, di gnomi e di esseri dalla pelle lattiginosa e iridescente, di fantasmi molesti, ma per il resto guarderà sempre solo il suo orizzonte assolutamente limitato, che non oltrepassa le quattro mura della clinica, la nebbia di Chissàdove, senza chiedersi quale è quel confine che nella nebbia non si riesce  a scorgere. Non intuisce che la stanza nella quale ci troviamo e la nostra condizione in questo momento sono l'ultimo avamposto prima del nulla, dell'oblio della coscienza? della totale perdita della ragione? E che, per scrutare nel nulla, si deve essere disposti a perdere qualcosa delle nostre certezze, per indagare sull'orizzonte in cui le nebbie ci impediscono di guardare si deve imparare a camminare a occhi chiusi sul prato e abituarsi all'ubiquità del confine... si, caro Severino, questo non lo vede il tuo sguardo di un uomo "normale"? In realtà credo che tu soffra di un'amnesia ben peggiore della mia: hai dimenticato le domande, al contrario di me che ho smarrito le risposte. Anche i sani hanno perso qualcosa, dunque, si portano dietro una valigia chiusa nella quale non osano guardare, dove ci sono tutte le domande senza risposta, e vivono privi di salutari angosce; ecco, scacco al re, Severino: questo è il confine. [...] perché agli uomini non è dato di scrutare fuori dal sogno, né agli svegli vedere l'orizzonte avvolto nella nebbia dei sogni. [Il sofà sui binari, Davinio 2013]

giovedì 6 giugno 2013

Dall'orda paterna al clan fraterno

Ricollegando la concezione del totem suggerita dalla psicoanalisi con il banchetto totemico e con l'ipotesi darwiniana sullo stato prmitivo della società umana si può acquisire una più profonda comprensione e cogliere l'intuizione di un'ipotesi che può sembrare fantastica, ma che presenta il vantaggio di realizzare un'inaspettata unità tra una serie di fenomeni isolati. Un padre violento, geloso, che tiene per sé tutte le femmine e scaccia i suoi figli man mano che crescono ecco ciò che la teoria del Darwin suppone. Questo stato primitivo della società non è mai stato oggetto di analisi. L'organizzazione più primitiva di cui siamo a conoscenza, e che ancora attualmente esiste in certe tribù, consiste in una comunità di uomini che godono di uguali diritti e sono sottomessi alle limitazioni del sistema totemico.

Si può supporre che per arrivare a questo un giorno i fratelli scacciati si sono riuniti, hanno ucciso il padre e mangiato il padre, ponendo fine all'orda paterna. Una volta riuniti, si sono fatti audaci e sono stati in grado di realizzare ciò che ciascuno di loro, isolatamente, sarebbe stato incapace di fare. E' possibile che un nuovo processo della civilizzazione, l'invenzione di una nuova arma, abbia dato loro la coscienza della loro superiorità. Che essi abbiano mangiato il cadavere del padre non ci stupisce dato che si tratta di primitivi cannibali. Il violento progenitore costituiva certamente il modello invidiato e temuto di ciascuno dei membri di questa associazione fraterna. Essi realizzavano, con l'atto del pasto, la loro identificazione con lui, ciascuno si appropriava di parte della sua forza. Il banchetto totemico, che è forse la prima festa dell'umanità sarebbe la riproduzione e la commemorazione di questa azione memorabile e criminale che ha costituito il punto di partenza per tante cose: organizzazioni sociali, limitazioni morali e religioni. 

Per trovare attendibili queste conseguenze a prescindere dalle loro premesse, è sufficiente riconoscere che il gruppo dei fratelli ribelli fosse animato, nei confronti del padre dai sentimenti contraddittori che, come sappiamo, costituiscono l'ambivalente contenuto del complesso del padre. Essi odiavano il padre che con tanta violenza, si opponeva ai loro desideri e alle loro esigenze sessuali e tuttavia l'amavano e l'ammiravano. Dopo averlo eliminato, dopo aver placato il loro odio e realizzata la propria identificazione con lui essi dovettero dar sfogo agli impulsi affettuosi che erano stati sopraffatti. Lo fecero sotto forma di pentimento; provavano un senso di colpa che in questo caso coincide col rimorso sentito collettivamente. Il morto divenne più potente del vivo; tutte le cose che anche oggi ritroviamo nelle vicende umane. Ciò che prima il padre aveva impedito con la sua presenza, i figli ora se lo proibivano da soli, nella situazione psichica nota in psicoanalisi come "ubbidienza postuma". Essi rinnegarono la loro azione, proibendo l'uccisione del totem, sostituto del padre, e rinunciarono a goderne i frutti, rifiutando di aver rapporti sessuali con le donne che ora erano libere. Così il rimorso filiale, ha generato i due tabù fondamentali del totemismo che coincidono perciò con i due desideri rimossi del complesso di Edipo. [Totem e Tabù, Freud 1913]