mercoledì 22 gennaio 2014

Floor-time con il bambino autistico

A 26 mesi, Massimiliano sfarfallava le mani in maniera eccitata mentre cantava giocosamente la canzone dell'alfabeto. Aveva appena trovato il puzzle di una lettera che lui amava e stava cantando una canzone su questa lettera più e più volte. Rivolgeva la schiena ai genitori e chiaramente non rispondeva quando i genitori lo chiamavano ripetutamente: ansiosa di non interromperlo, la madre lo sollevò da terra e lo girò verso di lei. Per un momento rimase interdetto, ma poi urlò, felice. Quando lei lo mise di nuovo a terra (era pensante!), lui riprese a cantare la sua canzone dell'alfabeto, con la schiena ancora rivolta verso di lei. Di nuovo lei lo girò e lui smise di cantare, facilitando il movimento della madre, brusco ma piacevole. Nel momento in cui lei lo rimise a terra, ricominciò a cantare sena rigirarsi immediatamente. Un attimo dopo, la mamma di Massimiliano si posizionò di fronte a lui e disse: "Ecco che arriva la mamma dell'alfabeto!", questa volta piegandosi al livello dei suoi occhi e allungando le braccia. Massimiliano scappò via guardando tutto attorno a lei mentre continuava a cantare la sua canzone dell'alfabeto. Lei si portò ancora di fronte a lui, lui se ne andò, ma smise di cantare. Lei di nuovo gli chiese se avesse voglia di ballare, allungando ancora le braccia. Massimiliano la schivò ed era lì per andarsene via quando lei prese in mano il puzzle che lui amava. Non appena vide la madre porgergli il puzzle, la guardò e riprese a cantare. Questa volta, lei cantò con lui mentre teneva in mano un lato del puzzle e Massimiliano l'altro lato. Cominciarono a far oscillare il puzzle avanti e indietro mentre cantavano, e la voce gioiosa di Massimiliano risuonò forte non appena lui diresse lo sguardo verso la madre, oscillando avanti e indietro. Se lei interrompeva lui la tirava, invitandola così a proseguire. Dopo innumerevoli volte che ripetevano la stessa frase, lei provò a cantare la frase successiva prima che lo facesse lui, ma non servì. Allora lei ricominciò a cantare con lui. Lei gli chiese se voleva ballare la danza dell'alfabeto, e lasciò cadere il lato da cui teneva il puzzle per avvicinarsi a lui. Questa volta, anche Massimiliano lasciò andare il puzzle e si sollevò verso la madre. Iniziarono a danzare ritmicamente insieme; lei fece muovere e ondeggiare Massimiliano da una parte all'altra finché lui mantenne un contatto oculare. Come lei rallentava il passo, anche Massimiliano iniziava a cantare più lentamente, seguendo il suo ritmo. Questa danza intima andò avanti finché Massimiliano scivolò via dalle braccia della madre. Lui corse di nuovo al suo puzzle sull'alfabeto. La madre lo seguì e ripeté i suoi primi approcci. Questa volta Massimiliano ricercò un po' prima la mamma dell'alfabeto e di nuovo danzarono gioiosamente. Quando la madre si associò all'alfabeto di Massimiliano, e divenne sufficientemente prevedibile, iniziarono a condividere una danza gioiosa insieme. Nel giro di poche settimane riuscirono a cantare insieme la canzone. Si erano costruiti nuovi significati. Lo sfarfallamento delle mani si trasformò nella richiesta di Massimiliano di essere preso in braccio dalla madre per poter danzare con lei. La canzone dell'alfabeto era diventata a questo punto un'esperienza condivisa. Seguendo la guida di Massimiliano senza prendere il suo posto e arricchendo i suoi movimenti con una danza faccia a faccia, la madre di Massimiliano lo aveva aiutato a divertirsi nell'intimità. [Bambini con bisogni speciali, Greenspan, Wieder, Simons 2005]

mercoledì 15 gennaio 2014

Il significato dell'integrazione

La vita di un autistico può diventare effettivamente una vita soddisfacente e felice dove è possibile trovare le condizioni per esprimere la sua singolare umanità. Ma occorre che contesti, dispositivi di cura e anche conoscenze siano adeguati, “sufficientemente buoni”, verrebbe da dire. In genere non è così. Soprattutto per quel che riguarda l'autismo in età adulta, che psichiatri e psicoanalisti, e spesso anche neuropsichiatri infantili, continuano ad ignorare. L'aggiornamento delle conoscenze sull'autismo soffre nel nostro paese di un grave ritardo ed è impigliato in una fitta rete di pregiudizi che lo ostacolano. Occorre pensare all'autismo nell'ottica del ciclo di vita, immaginando luoghi, contesti e dispositivi di intervento adatti non a bambini, ma ad adulti diventati grandi con il loro autismo, in grado di garantire e rispettare il loro diritto ad una adultità, sia pure autistica. E' necessario favorire una progressiva emancipazione, dalle loro provate famiglie, in attesa oltre che in preparazione di quella separazione definitiva che, inevitabilmente comunque verrà. Si rende necessario pensare in modo non ideologico, non astratto, ma tenendo ben conto della realtà e delle caratteristiche dell'autismo reale, non di quello immaginario. La parola d'ordine che si è sentito risuonare in tutte le sue declinazioni e intonazioni possibili è “integrazione”. L'integrazione non basta predicarla e “volerla” perché si realizzi, in particolare per le condizioni difficili come quella autistica. Dell'integrazione vanno creati pazientemente, condizioni e contesti. L'esperienza autistica costituisce una sorta di “limite estremo” della riabilitazione psichiatrica, sul quale le tradizionali procedure e i generosi tentativi ingenui di chi non conosce bene questa condizione si infrangono e spesso producono danni. Solo per una piccola parte degli autismo (sostanzialmente una parte di quelli ad alto funzionamento e una parte di quelli corrispondenti al gruppo “amichevole-passivo” della tipologia di L. Wing) era ragionevole ipotizzare una generica immissione, comunque supportata, nelle tradizionali strutture della psichiatria sociale. Molto spesso viene descritta la condizione fallimentare, dolorosa e tal volta tragica delle persone autistiche, “gettate” genericamente (magari con le migliori intenzioni) nel “sociale” oppure istituzionalizzate (si possono considerare queste soluzioni come due facce della stessa medaglia, come una simmetrica e sostanzialmente equivalente mancanza di cura e di rispetto per la particolare umanità, le particolari caratteristiche e i bisogni di queste persone). L'ipocrisia dell'integrazione urbana delle persone adulte autistiche si risolve, spessissimo, nel loro isolamento, nella loro manicomializzazione a domicilio, con emarginazione terribile e sostanziale. Emarginazione vera, disperante, umiliante, che coinvolge sia loro che le loro famiglie, in genere affannate e affondate nell'impresa impossibile, irragionevole e senza sbocchi della gestione “a fondo perduto”” di un adulto autistico. Si può obiettare che lo sviluppo delle autonomie, la crescita psicologica e di competenze nell'autismo possono continuare invece anche a lungo se il contesto è adatto a trasformare, per così dire, gli oggetti autistici in oggetti umani e i gusci o le “macchine degli abbracci” che ogni autistico si è a modo suo fabbricato, in contesti possibili di vita; ma che questo percorso è difficile, delicatissimo, esposto a drammatici crolli e regressioni e che la generica “socialità” non ha alcun valore taumaturgico in questo caso, perché si tratta di persone per le quali la rinuncia a un uso autistico di oggetti e situazioni, già difficilissima di per sé per ragioni profonde che in definitiva si radicano nella loro biologia, non è affatto supportata automaticamente, da un'evidenza naturale del mondo, condivisa da una comunicazione spontanea cui potersi appoggiare. Purtroppo l'obiezione ideologica “dell'inclusione” è spesso usata in modo strumentale e opportunistico. Da parte di servizi pubblici e istituzioni , per continuare a far gravare sulle famiglie, in un contesto con risorse sempre più scarse gran parte del carico dell'assistenza. O. Sacks in "Un antropologo su Marte" ha elaborato una buona metafora per descrivere la condizione di spaesamento e disorientamento radicale delle persone con autismo. Qualunque sia il loro livello cognitivo, le competenze e le abilità acquisite perfino il livello di competenza linguistica o di una teoria della mente raggiunto si troveranno, nel mondo interumano nella condizione di un antropologo su Marte: cercheranno, tante più competenze avranno nel frattempo acquisito, tanto più la loro vita su Marte sarà facilitata. Fino ad immaginare il caso di un antropologo particolarmente dotato, capace e colto, che è riuscito ad imparare quasi perfettamente la lingua dei marziani, a riconoscere le loro strane abitudini a individuare i codici che reggono i loro scambi. Si tratterà comunque anche in questo caso, dell'apprendimento più o meno riuscito, di una lingua originariamente straniera, non della crescita nell'orizzonte condiviso della stessa forma di vita. Tristemente però sono rare eccezioni questi antropologi particolarmente dotati, la maggior parte delle persone con autismo presenta anche un ritardo mentale, più o meno grave. Questa normalità alle prese con la vita frammentata e caotica delle nostre città, oppure con la rete dei servizi, con i tentativi altrettanto frammentati e caotici di inserimento sociale, esposti a quotidiani imprevisti e a infinite imprevedibili incertezze affidato alle tecniche e ai metodi normali della riabilitazione psichiatrica. Pesci fuor d'acqua, immersi in un'esperienza confusa, imprevedibile, tal volta terrorizzante, priva per loro di qualsiasi coerenza e di significato riconoscibile quale che sia il valore e le generosi intenzioni dei singoli interventi ricevuti, i nostri infelici e disorientati antropologi quasi sempre sperimentano in questi contesti sentimenti di ulteriore umiliazione, spaesamento, confusione paura, inadeguatezza, mortificazione. [L'autismo. L'umanità nascosta, Barale, Ucelli]

lunedì 13 gennaio 2014

Il trauma della lingua

Prima di passare alla lettura di quanto Laurent scrive sulla lingua nel soggetto autistico, ripropongo alcune righe che un soggetto autistico e uno schizofrenico scrivono sulla loro relazione con la lingua. 

Qualcosa deve estrarsi dal corpo affinché un elemento diverso possa poi entrare nella lingua del soggetto. Così saranno dei circuiti, delle catene eterogenee (fatte di suoni, di oggetti, di azioni...) a permettere al soggetto autistico di costruire un accesso a uno spazio soggettivo supportato dall'utilizzo di elementi che hanno la funzione di spostare il bordo del suo "dizionario topologico personale" Al fine di fondare un rinnovato approccio psicoanalitico dell'autismo è essenziale partire dalla lettura proposta da J. A. Miller dell'Uno di godimento nell'insegnamento di Lacan. Cominciamo semplicemente a distinguere la struttura di questi fenomeni nella psicosi e nell'autismo. Nella psicosi c'è un disturbo nella catena tra due significanti, S1 e S2, a causa della rottura dell'articolazione tra l'uno e l'altro, e più precisamente nella scomposizione dei fenomeni che li strutturano in quanto messaggi. Le interferenze e le rotture a livello del messaggio, così come le interruzioni o gli sbarramenti identificati da Kreapelin nella schizofrenia, sono fondamentali in ogni patologia allucinatoria. Nell'autismo questa interruzione del messaggio non è identificabile, i fenomeni di rottura non risultano in primo piano. Si tratta piuttosto della ripetizione di uno stesso significante Uno, di un S1, radicalmente separato da qualunque altro significante, che non rinvia quindi ad alcun S2, ma che produce comunque un effetto di godimento, manifestato da questa stessa ripetizioni. Riferendosi al modo in cui manipola le lettere, S. Barron rileva che, per lui, le lettere dovevano essere "una e una", con una separazione netta tra di loro. Era una lista senza riferimenti, una ripetizioni, o più precisamente, per usare l'espressione di Miller, una pura reiterazione. Come S. Barron dimostra, questa reiterazione senza senso aveva in particolare la funzione di alleviare la sua angoscia, "il suono forte e chiaro di quelle lettere cancellava tutte le preoccupazioni" e gli dava "un senso di potere" perché "poche persone sapevano queste cose che eccitavano tanto".
Se questa reiterazione sussiste con tale forza è perché l'Uno di godimento non si cancella per il soggetto situato enl campo coperto dallo spettro degli autismi. Siccome la traccia dell'evento corpo non può essere intaccata dalla benché minima cancellazione, ogni singola parola può suscitare terrore. Il significante, avendo un impatto senza mediazione sul corpo, ha come effetto una ripercussione massiccia ed immediata, quasi istantanea sul corpo del soggetto. L'evento di corpo accompagna l'inserimento del soggetto nel campo del linguaggio. Una parola pronunciata e rivolta al bambino lo sottopone ad un orrore particolato, così come aveva detto Lacan nella sua conferenza di Ginevra sul sintomo. L'atto di nominazione, concepito come nominazione di un oggetto esterno, fa dimenticare che la nominazione traumatica è quella che riguarda il soggetto. Chi è il "corpo" a cui viene così intimato di rispondere. La nominazione "tu sei" lascia il soggetto autistico indifferente, ostile, minacciato... in preda a sentimenti indefinibili ma soprattutto indifeso. Questo altrove radicale è la traccia sul corpo di un'impronta impossibile da trattare se non estraendola. Essa è inseparabile da un "troppo di eccitazione" che invade il corpo. Una volta nominato, il corpo non può dimenticare la sua inclusione nel bagno del linguaggio. Questa impossibilità di cancellare l'Uno marchia il corpo come corpo che gode di se stesso, al di là del principio di piacere. Troviamo così la traccia di questo evento traumatico originario che è l'inscrizione del bagno del linguaggio sul copro. A questo livello, non si tratta di codici, né di messaggi, né di un linguaggio separato dalla lingua. Questo è un livello della lingua in cui gli equivoci abbandono pericolosamente. Lacan, avvicinandola alla lallazione dell'infans, l'ha chiamata lalingua. Il modo con cui il soggetto autistico tratta questa profusione lallativa, consiste nel volerla ridurre all'Uno della lettera che si ripete, inclusa o no nel campo della parola, vocalizzata o ripetuta in silenzio. L'uno si ripete, ma senza riuscire ad affrontare la proliferazione degli "equivoci reali" della lingua. [La battaglia dell'autismo, Laurent]

venerdì 10 gennaio 2014

L'umanità nascosta richiede pazienza

L'operatore impegnato nella cura delle persone autistiche deve essere disposto a imparare sempre come se dovesse per ogni problema ricominciare ad apprendere tutto dall'inizio. Si tratta della necessità di assumere l'umiltà, l'abbassarsi fino in fondo, quale atteggiamento fondamentale primo e ultimo. Si tratta di penetrare nel terreno del campo autistico come un umile chicco di grano. Questa disposizione d'animo è dominata dal desiderio di tenere desta la curiosità per continuare a formulare domande. All'operatore sia consentito di accingersi a una rimeditazione sulla sua attività che non sia mai paga di tutto ciò che, nell'ambito dell'autismo, viene considerato ovvio o risaputo. Testardamente bisogna imparare ad ascoltare tutto ciò che proviene dai malati e dai loro contesti. Uscire dal circolo dell'ovvietà non è semplice, richiede uno sforzo notevole soprattutto nel campo dell'esistenza alle persone autistiche. E' davvero difficile smarcarsi e porsi da punti di vista non convenzionali. Quando viene attuato un progetto abilitativo, infatti, non è sufficiente attenersi alla semplice applicazione di una tecnica. Il lavoro abilitativo è qualcosa di ben più complesso. Esso prevede, oltre a svariate competenze tecniche, anche la capacità degli operatori di valutare le specifiche circostante. Il fattore motivante e rimotivante fondamentale per gli operatori è rappresentato dal loro modo di relazionarsi ai malati: non esiste nulla di più efficace, nell’ambito dell’assistenza a soggetti artistici, della voglia degli operatori di realizzare comunque una relazione intensa e significativa con i loro malati. Non è facile introdursi là dove tutto fa credere che non si è necessari né desiderati e rimanere ugualmente fiduciosi. La sfida per raggiungere l’umanità nascosta delle persone artistiche è racchiusa tutta nella possibilità che l’operatore si costituisca figura di riferimento ciò che nella sua mente si apra lo spazio per una relazione che tutto ma proprio tutto contribuisce a dichiarare improbabile. Ciò comporta uno sforzo continuo per affermare, nella psicopatologia desolata e negli esisti desolanti dell’autismo tutte quelle minime sorgenti di creatività, di progressione, di positività che portano verso una situazione di cambiamento, quindi vitale , e che affondano le radici nell’esistenza del paziente, ma anche in quella dell’operatore. Là dove non esiste la possibilità di un linguaggio connnotativo, né la preoccupazione ad esso legata, si può respirare l’aria dell’apertura all’essere: si tratta veramente della creazione del mondo. La fiducia si presenta come certezza che sottrae sicurezza. Di solito si ritiene che la fiducia sia un bene, ma che il controllo sulle diverse situazioni sia meglio e anche più utile. Il controllo rende sicuri ed è perciò indispensabile nell’orizzonte di ciò che deve essere assicurato. Ma ecco che ogni relazione tra persone si degraderebbe a causa dell’esecuzione di una assicurazione tendente a controllare. Nella relazione con il soggetto autistico è determinante associarsi alla debolezza e all’essenziale finitezza d’altri; sopportarne il peso sacrificando il proprio interesse e il proprio compiacimento. Quando avviene che l’operatore riesce a mettersi tar parentesi, senza tuttavia farsi evanescente, allora le sue doti si concretizza in responsabilità per altri. Tra fiducia, sostituzione, e responsabilità si apre lo spazio in cui può crescere la pazienza. Se stare in attesa significa contemplare un problema insolubile, sopportare il peso di una domanda, di un dilemma, senza cedere alla volontà di una soluzione, di una scappatoia, vuol dire che vengono messe in gioco energie molto forti, analoghe a quelle che spingono a dare un calcio alla pietra che ostruisce il cammino. Significa, innanzitutto, dilazionare il tempo, rallentare o disarticolare il presente del tutto subito, della decisione, accettare per così dire, la potenza dell’ostacolo e convertire la propria energia dell’abolizione dell’intralcio al contratto ed eventuale mediazione con esso. Significa reinvestire l’energia che non viene dilapidata nella realizzazione di un fine, di un risultato, nel differimento del tempo, nell’obbedire al suo distendersi e protendersi. L'attenzione aspetta. Aspetta senza fretta, lasciando vuoto ciò che è vuoto ed evitando che la nostra fretta, il nostro desiderio impaziente, e ancor di più il nostro orrore del vuoto, lo colmino anzi tempo. Solo un'opportuna lentezza e una indistruttibile pazienza possono preservare gli operatori dal pericolo di voler procedere per sfondamenti nei momenti di crisi. Infatti, se la pazienza è in qualche modo attenzione all'altro, l'impazienza è invece cura di sé. La pazienza nei confronti delle persone autistiche è quindi una virtù che offre tempo e la sua chance affinché le persone e le cose maturino; essa porta in sé il segreto di un apprezzamento positivo della passività: non come pura e semplice rinuncia all'azione, ma come assenso a lasciar essere e disponibilità verso ciò che deve arrivare. Questa attesa silenziosa è propria della pazienza di chi presta attenzione ai più piccoli fremiti della vita e sa bene che le prime spinte non arriveranno mai se l'impazienza tenta di accelerarne la venuta. Malgrado i limiti che la pazienza non può superare senza dramma, poiché essa condanna chi li trasgredisce alla semplice rassegnazione, alla miseria e all'oppressione, bisogna ascoltare la voce della pazienza come ciò che, andando contro corrente in una società per la quale il tempo si identifica con il denaro e che ha il culto della rendita, ricorda a tutti che ogni nascita è preceduta da un'attesa.
Se la ragione della scienza e della tecnica permette di dominare la natura e di porla al servizio dei bisogni umani, essa rischia nei suoi eccessi, di far smarrire il senso della pazienza di fronte alla lenta conquista della vita verso forme sempre più complesse. Il desiderio di dominio smisurato sulla natura, desiderio volto a soddisfare interessi contraddittori e ciechi, conduce altresì alla distruzione e alla sempre più chiara solitudine degli umani in un universo che non si sa più ascoltare ne contemplare. Se perdiamo il senso della pazienza vuol dire che non sappiamo più vivere nel tempo dell'altro: ogni cosa, ogni evento deve potersi modulare sul suo proprio modo di apprezzare il tempo. La pazienza è infatti necessaria a chiunque tenti di aprirsi al tempo dell'altro, poiché non sono soltanto gli uomini e le donne delle società lontane a vivere il tempo in mondo diverso, ma tutti e tutte coloro che, in prossimità del loro Sé ricordano che il tempo si vive al plurale. Solo la pazienza tollera questa pluralità senza volere a ogni costo ridurla autoritariamente a una norma comune. C'è un gusto unico, nella temporalità di ciascuno. [L'autismo. L'umanità nascosta, Stefano Mistura]

domenica 5 gennaio 2014

La battaglia dell'Autismo

Nel 1943 Leo Kanner isolava la patologia autistica mettendola in relazione al registro della causa biologica e a quello delle difficoltà che il bambino autistico pone ai genitori. Sono stati distinti a partire dagli anni 50 livelli di causalità multipla, che originano un disturbo della relazione con l'altro, predominante nell'autismo, con le differenze specifiche per ogni caso, ma presente come invariante strutturale.

Gli oggetti degli autistici

Che cosa fare con gli oggetti con i quali i soggetti autistici si circondano? Si apre la questione di che cosa fare con questi oggetti, se eliminarli, quando sono di intralcio al processo che dovrebbe portarli in seno allo società, oppure considerarli come qualcosa con cui il soggetto trova appoggio, dunque nell'ordine dell'invenzione. Si apre alla possibilità di scoprire la particolare topologia dello spazio del soggetto autistico a partire dalle specificità dell'oggetto al quale lui è attaccato. Qui l'oggetto è da intendersi come ciò che resta del vivente quando non è articolato al linguaggio. Interrogarsi sull'ipotesi di circuiti dell'oggetto articolati al corpo mediante dei bordi di godimento.
Rosine e Robert Lefort si impegnano a circoscrivere la struttura autistica, alla luce degli insegnamenti di Lacan.
Jacques-Alain Miller precisa ciò che un corpo diventa quando i buchi che lo costituiscono funzionano in uno spazio soggettivo che è “senza buco”. Invaso da un'eccitazione, il soggetto non può svuotarla in un luogo, pertanto si svuota. E' privo di sensazioni ma al tempo stesso sopraffatto da esse. Non disporre di un corpo articolato a dei buchi richiede delle particolari cuciture dello spazio e anche dei reincollamenti a dei doppi concreti che suppliscono all'assenza di una immagine del corpo.
Per i soggetti autistici parlare rileva un evento di corpo: dal loro colpo estraggono il linguaggio come accade con altri oggetti da cui non possono separarsi. Parlare non è un atto cognitivo, è uno sradicamento reale.
Un soggetto non cessa di essere tale anche se il suo corpo è handicappato, ma tale handicap produce una condizione soggettiva di piantato in asso ovvero un'impossibilità di affettivo appello all'altro e che può condurre al rigetto dell'altro.
Per Lefort il bambino, soprattutto il bambino psicotico, non doveva essere approcciato soltanto a partire dall'immaginario, come invitavano a fare le tecniche di gioco, particolarmente diffuse. Lefort intendeva affrontarlo mediante l'annodamento particolare tra il simbolico e il reale.
La sua clinica era fondata sull'istituzione esplosa piuttosto che mettere l'accetto sull'istituzione come garante dell'innesto di un ordine simbolico con le sue regole e le sue regolarità il suo richiamo alla legge si trattava di affidarsi all'evento imprevisto, contingente e fuori norma. Invece di offrire la permanenza il quadro dell'istituzione offre fin da subito su uno sfondo di permanenza delle aperture all'esterno.
L'utilizzo del significante da solo è il filo rosso che attraversa i lavori dei Lefort. Lacan oppone due teorie della nominazione. L'una consiste nel ridurre la nominazione a una designazione, essa resterà in seguito aperta ad una incertezza fondamentale su ciò che è stato nominato in questo atto.
L'altro approccio della nominazione mette in evidenza che il soggetto si nomina, si battezza, si auto-battezza, come sottolinea Lacan al fine di evidenziare la dimensione riflessiva di ciò che questo punto fa evento, atto. Egli opera con il suo tesso ritornello. Il ritornello come atto di parola non +è articolato allo scambio è effetto del ritornello primario sul corpo del soggetto. Si tratta della prima versione che diventerà S1, il significante da solo, staccato dall'articolazione con un altro significante S2, questo distacco, questo prendere in considerazione il significante isolato si oppone ai principi della linguistica di De Saussure che parte dalla relazione tra due significanti per definire il loro valore.
I metodi comportamentali, fondati sull'apprendimento ripetitivo di condotte predefinite, incarnano in particolare l'illusione costituita dal modello problema soluzione. Il carattere autoritario e riduttivo di questo approccio educativo è stato denunciato soprattutto dagli autistici ad alto funzionamento che manifestano la loro ostilità verso l'industria ABA-autismo. [La battaglia dell'Autismo, Eric Laurent]