mercoledì 15 gennaio 2014

Il significato dell'integrazione

La vita di un autistico può diventare effettivamente una vita soddisfacente e felice dove è possibile trovare le condizioni per esprimere la sua singolare umanità. Ma occorre che contesti, dispositivi di cura e anche conoscenze siano adeguati, “sufficientemente buoni”, verrebbe da dire. In genere non è così. Soprattutto per quel che riguarda l'autismo in età adulta, che psichiatri e psicoanalisti, e spesso anche neuropsichiatri infantili, continuano ad ignorare. L'aggiornamento delle conoscenze sull'autismo soffre nel nostro paese di un grave ritardo ed è impigliato in una fitta rete di pregiudizi che lo ostacolano. Occorre pensare all'autismo nell'ottica del ciclo di vita, immaginando luoghi, contesti e dispositivi di intervento adatti non a bambini, ma ad adulti diventati grandi con il loro autismo, in grado di garantire e rispettare il loro diritto ad una adultità, sia pure autistica. E' necessario favorire una progressiva emancipazione, dalle loro provate famiglie, in attesa oltre che in preparazione di quella separazione definitiva che, inevitabilmente comunque verrà. Si rende necessario pensare in modo non ideologico, non astratto, ma tenendo ben conto della realtà e delle caratteristiche dell'autismo reale, non di quello immaginario. La parola d'ordine che si è sentito risuonare in tutte le sue declinazioni e intonazioni possibili è “integrazione”. L'integrazione non basta predicarla e “volerla” perché si realizzi, in particolare per le condizioni difficili come quella autistica. Dell'integrazione vanno creati pazientemente, condizioni e contesti. L'esperienza autistica costituisce una sorta di “limite estremo” della riabilitazione psichiatrica, sul quale le tradizionali procedure e i generosi tentativi ingenui di chi non conosce bene questa condizione si infrangono e spesso producono danni. Solo per una piccola parte degli autismo (sostanzialmente una parte di quelli ad alto funzionamento e una parte di quelli corrispondenti al gruppo “amichevole-passivo” della tipologia di L. Wing) era ragionevole ipotizzare una generica immissione, comunque supportata, nelle tradizionali strutture della psichiatria sociale. Molto spesso viene descritta la condizione fallimentare, dolorosa e tal volta tragica delle persone autistiche, “gettate” genericamente (magari con le migliori intenzioni) nel “sociale” oppure istituzionalizzate (si possono considerare queste soluzioni come due facce della stessa medaglia, come una simmetrica e sostanzialmente equivalente mancanza di cura e di rispetto per la particolare umanità, le particolari caratteristiche e i bisogni di queste persone). L'ipocrisia dell'integrazione urbana delle persone adulte autistiche si risolve, spessissimo, nel loro isolamento, nella loro manicomializzazione a domicilio, con emarginazione terribile e sostanziale. Emarginazione vera, disperante, umiliante, che coinvolge sia loro che le loro famiglie, in genere affannate e affondate nell'impresa impossibile, irragionevole e senza sbocchi della gestione “a fondo perduto”” di un adulto autistico. Si può obiettare che lo sviluppo delle autonomie, la crescita psicologica e di competenze nell'autismo possono continuare invece anche a lungo se il contesto è adatto a trasformare, per così dire, gli oggetti autistici in oggetti umani e i gusci o le “macchine degli abbracci” che ogni autistico si è a modo suo fabbricato, in contesti possibili di vita; ma che questo percorso è difficile, delicatissimo, esposto a drammatici crolli e regressioni e che la generica “socialità” non ha alcun valore taumaturgico in questo caso, perché si tratta di persone per le quali la rinuncia a un uso autistico di oggetti e situazioni, già difficilissima di per sé per ragioni profonde che in definitiva si radicano nella loro biologia, non è affatto supportata automaticamente, da un'evidenza naturale del mondo, condivisa da una comunicazione spontanea cui potersi appoggiare. Purtroppo l'obiezione ideologica “dell'inclusione” è spesso usata in modo strumentale e opportunistico. Da parte di servizi pubblici e istituzioni , per continuare a far gravare sulle famiglie, in un contesto con risorse sempre più scarse gran parte del carico dell'assistenza. O. Sacks in "Un antropologo su Marte" ha elaborato una buona metafora per descrivere la condizione di spaesamento e disorientamento radicale delle persone con autismo. Qualunque sia il loro livello cognitivo, le competenze e le abilità acquisite perfino il livello di competenza linguistica o di una teoria della mente raggiunto si troveranno, nel mondo interumano nella condizione di un antropologo su Marte: cercheranno, tante più competenze avranno nel frattempo acquisito, tanto più la loro vita su Marte sarà facilitata. Fino ad immaginare il caso di un antropologo particolarmente dotato, capace e colto, che è riuscito ad imparare quasi perfettamente la lingua dei marziani, a riconoscere le loro strane abitudini a individuare i codici che reggono i loro scambi. Si tratterà comunque anche in questo caso, dell'apprendimento più o meno riuscito, di una lingua originariamente straniera, non della crescita nell'orizzonte condiviso della stessa forma di vita. Tristemente però sono rare eccezioni questi antropologi particolarmente dotati, la maggior parte delle persone con autismo presenta anche un ritardo mentale, più o meno grave. Questa normalità alle prese con la vita frammentata e caotica delle nostre città, oppure con la rete dei servizi, con i tentativi altrettanto frammentati e caotici di inserimento sociale, esposti a quotidiani imprevisti e a infinite imprevedibili incertezze affidato alle tecniche e ai metodi normali della riabilitazione psichiatrica. Pesci fuor d'acqua, immersi in un'esperienza confusa, imprevedibile, tal volta terrorizzante, priva per loro di qualsiasi coerenza e di significato riconoscibile quale che sia il valore e le generosi intenzioni dei singoli interventi ricevuti, i nostri infelici e disorientati antropologi quasi sempre sperimentano in questi contesti sentimenti di ulteriore umiliazione, spaesamento, confusione paura, inadeguatezza, mortificazione. [L'autismo. L'umanità nascosta, Barale, Ucelli]

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