venerdì 10 gennaio 2014

L'umanità nascosta richiede pazienza

L'operatore impegnato nella cura delle persone autistiche deve essere disposto a imparare sempre come se dovesse per ogni problema ricominciare ad apprendere tutto dall'inizio. Si tratta della necessità di assumere l'umiltà, l'abbassarsi fino in fondo, quale atteggiamento fondamentale primo e ultimo. Si tratta di penetrare nel terreno del campo autistico come un umile chicco di grano. Questa disposizione d'animo è dominata dal desiderio di tenere desta la curiosità per continuare a formulare domande. All'operatore sia consentito di accingersi a una rimeditazione sulla sua attività che non sia mai paga di tutto ciò che, nell'ambito dell'autismo, viene considerato ovvio o risaputo. Testardamente bisogna imparare ad ascoltare tutto ciò che proviene dai malati e dai loro contesti. Uscire dal circolo dell'ovvietà non è semplice, richiede uno sforzo notevole soprattutto nel campo dell'esistenza alle persone autistiche. E' davvero difficile smarcarsi e porsi da punti di vista non convenzionali. Quando viene attuato un progetto abilitativo, infatti, non è sufficiente attenersi alla semplice applicazione di una tecnica. Il lavoro abilitativo è qualcosa di ben più complesso. Esso prevede, oltre a svariate competenze tecniche, anche la capacità degli operatori di valutare le specifiche circostante. Il fattore motivante e rimotivante fondamentale per gli operatori è rappresentato dal loro modo di relazionarsi ai malati: non esiste nulla di più efficace, nell’ambito dell’assistenza a soggetti artistici, della voglia degli operatori di realizzare comunque una relazione intensa e significativa con i loro malati. Non è facile introdursi là dove tutto fa credere che non si è necessari né desiderati e rimanere ugualmente fiduciosi. La sfida per raggiungere l’umanità nascosta delle persone artistiche è racchiusa tutta nella possibilità che l’operatore si costituisca figura di riferimento ciò che nella sua mente si apra lo spazio per una relazione che tutto ma proprio tutto contribuisce a dichiarare improbabile. Ciò comporta uno sforzo continuo per affermare, nella psicopatologia desolata e negli esisti desolanti dell’autismo tutte quelle minime sorgenti di creatività, di progressione, di positività che portano verso una situazione di cambiamento, quindi vitale , e che affondano le radici nell’esistenza del paziente, ma anche in quella dell’operatore. Là dove non esiste la possibilità di un linguaggio connnotativo, né la preoccupazione ad esso legata, si può respirare l’aria dell’apertura all’essere: si tratta veramente della creazione del mondo. La fiducia si presenta come certezza che sottrae sicurezza. Di solito si ritiene che la fiducia sia un bene, ma che il controllo sulle diverse situazioni sia meglio e anche più utile. Il controllo rende sicuri ed è perciò indispensabile nell’orizzonte di ciò che deve essere assicurato. Ma ecco che ogni relazione tra persone si degraderebbe a causa dell’esecuzione di una assicurazione tendente a controllare. Nella relazione con il soggetto autistico è determinante associarsi alla debolezza e all’essenziale finitezza d’altri; sopportarne il peso sacrificando il proprio interesse e il proprio compiacimento. Quando avviene che l’operatore riesce a mettersi tar parentesi, senza tuttavia farsi evanescente, allora le sue doti si concretizza in responsabilità per altri. Tra fiducia, sostituzione, e responsabilità si apre lo spazio in cui può crescere la pazienza. Se stare in attesa significa contemplare un problema insolubile, sopportare il peso di una domanda, di un dilemma, senza cedere alla volontà di una soluzione, di una scappatoia, vuol dire che vengono messe in gioco energie molto forti, analoghe a quelle che spingono a dare un calcio alla pietra che ostruisce il cammino. Significa, innanzitutto, dilazionare il tempo, rallentare o disarticolare il presente del tutto subito, della decisione, accettare per così dire, la potenza dell’ostacolo e convertire la propria energia dell’abolizione dell’intralcio al contratto ed eventuale mediazione con esso. Significa reinvestire l’energia che non viene dilapidata nella realizzazione di un fine, di un risultato, nel differimento del tempo, nell’obbedire al suo distendersi e protendersi. L'attenzione aspetta. Aspetta senza fretta, lasciando vuoto ciò che è vuoto ed evitando che la nostra fretta, il nostro desiderio impaziente, e ancor di più il nostro orrore del vuoto, lo colmino anzi tempo. Solo un'opportuna lentezza e una indistruttibile pazienza possono preservare gli operatori dal pericolo di voler procedere per sfondamenti nei momenti di crisi. Infatti, se la pazienza è in qualche modo attenzione all'altro, l'impazienza è invece cura di sé. La pazienza nei confronti delle persone autistiche è quindi una virtù che offre tempo e la sua chance affinché le persone e le cose maturino; essa porta in sé il segreto di un apprezzamento positivo della passività: non come pura e semplice rinuncia all'azione, ma come assenso a lasciar essere e disponibilità verso ciò che deve arrivare. Questa attesa silenziosa è propria della pazienza di chi presta attenzione ai più piccoli fremiti della vita e sa bene che le prime spinte non arriveranno mai se l'impazienza tenta di accelerarne la venuta. Malgrado i limiti che la pazienza non può superare senza dramma, poiché essa condanna chi li trasgredisce alla semplice rassegnazione, alla miseria e all'oppressione, bisogna ascoltare la voce della pazienza come ciò che, andando contro corrente in una società per la quale il tempo si identifica con il denaro e che ha il culto della rendita, ricorda a tutti che ogni nascita è preceduta da un'attesa.
Se la ragione della scienza e della tecnica permette di dominare la natura e di porla al servizio dei bisogni umani, essa rischia nei suoi eccessi, di far smarrire il senso della pazienza di fronte alla lenta conquista della vita verso forme sempre più complesse. Il desiderio di dominio smisurato sulla natura, desiderio volto a soddisfare interessi contraddittori e ciechi, conduce altresì alla distruzione e alla sempre più chiara solitudine degli umani in un universo che non si sa più ascoltare ne contemplare. Se perdiamo il senso della pazienza vuol dire che non sappiamo più vivere nel tempo dell'altro: ogni cosa, ogni evento deve potersi modulare sul suo proprio modo di apprezzare il tempo. La pazienza è infatti necessaria a chiunque tenti di aprirsi al tempo dell'altro, poiché non sono soltanto gli uomini e le donne delle società lontane a vivere il tempo in mondo diverso, ma tutti e tutte coloro che, in prossimità del loro Sé ricordano che il tempo si vive al plurale. Solo la pazienza tollera questa pluralità senza volere a ogni costo ridurla autoritariamente a una norma comune. C'è un gusto unico, nella temporalità di ciascuno. [L'autismo. L'umanità nascosta, Stefano Mistura]

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