L'operatore impegnato nella cura delle
persone autistiche deve essere disposto a imparare sempre come se
dovesse per ogni problema ricominciare ad apprendere tutto
dall'inizio. Si tratta della necessità di assumere l'umiltà,
l'abbassarsi fino in fondo, quale atteggiamento fondamentale primo e
ultimo. Si tratta di penetrare nel terreno del campo autistico come
un umile chicco di grano. Questa disposizione d'animo è dominata dal
desiderio di tenere desta la curiosità per continuare a formulare
domande. All'operatore sia consentito di accingersi a una
rimeditazione sulla sua attività che non sia mai paga di tutto ciò
che, nell'ambito dell'autismo, viene considerato ovvio o risaputo.
Testardamente bisogna imparare ad ascoltare tutto ciò che proviene
dai malati e dai loro contesti. Uscire dal circolo dell'ovvietà non
è semplice, richiede uno sforzo notevole soprattutto nel campo
dell'esistenza alle persone autistiche. E' davvero difficile
smarcarsi e porsi da punti di vista non convenzionali. Quando viene
attuato un progetto abilitativo, infatti, non è sufficiente
attenersi alla semplice applicazione di una tecnica. Il lavoro
abilitativo è qualcosa di ben più complesso. Esso prevede, oltre a
svariate competenze tecniche, anche la capacità degli operatori di
valutare le specifiche circostante. Il fattore motivante e
rimotivante fondamentale per gli operatori è rappresentato dal loro
modo di relazionarsi ai malati: non esiste nulla di più efficace,
nell’ambito dell’assistenza a soggetti artistici, della voglia
degli operatori di realizzare comunque una relazione intensa e
significativa con i loro malati. Non è facile introdursi là dove
tutto fa credere che non si è necessari né desiderati e rimanere
ugualmente fiduciosi. La sfida per raggiungere l’umanità nascosta
delle persone artistiche è racchiusa tutta nella possibilità che
l’operatore si costituisca figura di riferimento ciò che nella sua
mente si apra lo spazio per una relazione che tutto ma proprio tutto
contribuisce a dichiarare improbabile. Ciò comporta uno sforzo
continuo per affermare, nella psicopatologia desolata e negli esisti
desolanti dell’autismo tutte quelle minime sorgenti di creatività,
di progressione, di positività che portano verso una situazione di
cambiamento, quindi vitale , e che affondano le radici nell’esistenza
del paziente, ma anche in quella dell’operatore. Là dove non
esiste la possibilità di un linguaggio connnotativo, né la
preoccupazione ad esso legata, si può respirare l’aria
dell’apertura all’essere: si tratta veramente della creazione del
mondo. La fiducia si presenta come certezza che sottrae sicurezza. Di
solito si ritiene che la fiducia sia un bene, ma che il controllo
sulle diverse situazioni sia meglio e anche più utile. Il controllo
rende sicuri ed è perciò indispensabile nell’orizzonte di ciò
che deve essere assicurato. Ma ecco che ogni relazione tra persone si
degraderebbe a causa dell’esecuzione di una assicurazione tendente
a controllare. Nella relazione con il soggetto autistico è
determinante associarsi alla debolezza e all’essenziale finitezza
d’altri; sopportarne il peso sacrificando il proprio interesse e il
proprio compiacimento. Quando avviene che l’operatore riesce a
mettersi tar parentesi, senza tuttavia farsi evanescente, allora le
sue doti si concretizza in responsabilità per altri. Tra fiducia,
sostituzione, e responsabilità si apre lo spazio in cui può
crescere la pazienza. Se stare in attesa significa contemplare un
problema insolubile, sopportare il peso di una domanda, di un
dilemma, senza cedere alla volontà di una soluzione, di una
scappatoia, vuol dire che vengono messe in gioco energie molto forti,
analoghe a quelle che spingono a dare un calcio alla pietra che
ostruisce il cammino. Significa, innanzitutto, dilazionare il tempo,
rallentare o disarticolare il presente del tutto subito, della
decisione, accettare per così dire, la potenza dell’ostacolo e
convertire la propria energia dell’abolizione dell’intralcio al
contratto ed eventuale mediazione con esso. Significa reinvestire
l’energia che non viene dilapidata nella realizzazione di un fine,
di un risultato, nel differimento del tempo, nell’obbedire al suo
distendersi e protendersi. L'attenzione aspetta. Aspetta senza
fretta, lasciando vuoto ciò che è vuoto ed evitando che la nostra
fretta, il nostro desiderio impaziente, e ancor di più il nostro
orrore del vuoto, lo colmino anzi tempo. Solo un'opportuna lentezza e
una indistruttibile pazienza possono preservare gli operatori dal
pericolo di voler procedere per sfondamenti nei momenti di crisi.
Infatti, se la pazienza è in qualche modo attenzione all'altro,
l'impazienza è invece cura di sé. La pazienza nei confronti delle
persone autistiche è quindi una virtù che offre tempo e la sua
chance affinché le persone e le cose maturino; essa porta in sé il
segreto di un apprezzamento positivo della passività: non come pura
e semplice rinuncia all'azione, ma come assenso a lasciar essere e
disponibilità verso ciò che deve arrivare. Questa attesa silenziosa
è propria della pazienza di chi presta attenzione ai più piccoli
fremiti della vita e sa bene che le prime spinte non arriveranno mai
se l'impazienza tenta di accelerarne la venuta. Malgrado i limiti che
la pazienza non può superare senza dramma, poiché essa condanna chi
li trasgredisce alla semplice rassegnazione, alla miseria e
all'oppressione, bisogna ascoltare la voce della pazienza come ciò
che, andando contro corrente in una società per la quale il tempo si
identifica con il denaro e che ha il culto della rendita, ricorda a
tutti che ogni nascita è preceduta da un'attesa.
Se la ragione della scienza e della
tecnica permette di dominare la natura e di porla al servizio dei
bisogni umani, essa rischia nei suoi eccessi, di far smarrire il
senso della pazienza di fronte alla lenta conquista della vita verso
forme sempre più complesse. Il desiderio di dominio smisurato sulla
natura, desiderio volto a soddisfare interessi contraddittori e
ciechi, conduce altresì alla distruzione e alla sempre più chiara
solitudine degli umani in un universo che non si sa più ascoltare ne
contemplare. Se perdiamo il senso della pazienza vuol dire che non
sappiamo più vivere nel tempo dell'altro: ogni cosa, ogni evento
deve potersi modulare sul suo proprio modo di apprezzare il tempo. La
pazienza è infatti necessaria a chiunque tenti di aprirsi al tempo
dell'altro, poiché non sono soltanto gli uomini e le donne delle
società lontane a vivere il tempo in mondo diverso, ma tutti e tutte
coloro che, in prossimità del loro Sé ricordano che il tempo si
vive al plurale. Solo la pazienza tollera questa pluralità senza
volere a ogni costo ridurla autoritariamente a una norma comune. C'è
un gusto unico, nella temporalità di ciascuno. [L'autismo. L'umanità
nascosta, Stefano Mistura]
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