venerdì 30 maggio 2014

C'è da chiedersi cosa sostenga l'identità, il nucleo, di un dato campo ideologico, al di là di tutte le sue possibili varianti del suo contenuto concreto. La moltitudine di "significati fluttuanti", di elementi proto-ideologici, è organizzata in un campo unificato da un determinato punto nodale che "ricama" questi elementi, ancorandoli e annodandoli e ponendo fine la loro scivolamento e fissandone il significato. Tale punto nodale è identificabile nel point de capiton lacaninano, descritto come una sorta di annodamento, di aggraffatura, di significante e significato. Per Lacan, il linguaggio necessita di questa serie di punti di appoggio sul mondo delle cose per scansare il rischio di uno scivolamento indefinito dei significati. 

venerdì 23 maggio 2014

La storia la scrivono i vincitori


Lacan per spiegare il sintomo come ritorno del rimosso usa la metafora della direzione invertita del tempo (una comunicazione tra due soggetti posti in due universi in cui il tempo scorre in modo opposto, un messaggio, come ad esempio un quadrato, inviato da uno all'altro apparirebbe come qualcosa che dalla sua cancellazione lentamente prende forma, dalla traccia di qualcosa al senso). L'analisi è concepita come simbolizzazione, integrazione simbolica di immaginarie tracce prive di senso, l'inconscio è inteso qui come un insieme di "di fissazioni immaginarie che non potevano essere assimilate allo sviluppo simbolico".
I sintomi sono tracce prive di senso, il loro significato non è scoperto o dissotterrato dalle profondità nascoste del passato, ma costruito in modo retroattivo: l'analisi produce la verità; e cioè essa produce la struttura significante che conferisce ai sintomi la loro collocazione simbolica e il loro senso. Non appena entriamo nell'ordine simbolico, il passato è sempre presente. Ogni rottura storica, ogni avvento di un nuovo significante-padrone, cambia retroattivamente il significato di tutta la tradizione, ristruttura la narrazione del passato  lo rende leggibile in un modo diverso e nuovo. Ecco allora che "cose che non vogliono dir nulla improvvisamente significano qualcosa, ma in tutt'altro campo". Paradossalmente riusciamo ad elaborare questa conoscenza solo per mezzo dell'illusione che l'altro già detenga: il transfert. Esso rappresenta una illusione tale che non può essere aggirata affinché si acceda direttamente alla Verità: la Verità stessa è costituita attraverso l'illusione che è propria del transfert. 

giovedì 22 maggio 2014

Riepilogando ci si è chiesti in che senso Marx inventò il sintomo intendendolo come un'asimmetria, uno squilibrio "patologico" che smentisce l'universalismo borghese dei "diritti e doveri", "un elemento particolare che sovverte il proprio fondamento universale". In particolare la prima nozione di sintomo in Marx è stata individuata nella sua definizione di passaggio tra il sistema feudale e il sistema capitalistico, e in particolare dal passaggio tra feticismo tra persone (un misconoscimento del fatto che le qualità dei soggetti dipende dalla loro relazione e non da una qualità inerente i soggetti stessi) e feticismo delle merci, in cui questo misconoscimento passa dal rapporto tra persone al rapporto tra cose. 
Individuato un nesso tra il concetto di sintomo e il concetto di feticismo della merce, si procede ad indagarne le relazioni con il concetto di totalitarismo. Nel farlo Zizek ne distingue due forme:  la prima sintetizzabile nella frase di Marx "non sanno di far ciò, ma lo fanno" e che rappresenta un attaccamento dogmatico alla parola ufficiale. La seconda è rappresentata invece dalla riformulazione "sanno di far ciò, ma lo fanno" dove questo il distacco ironico, cinico, fa parte del gioco. Presentando un nuovo concetto di ideologia, lo riformula non come "un illusione che maschera il reale stato delle cose, ma quello di una fantasia (inconscia) che organizza la realtà sociale" il cinismo, deformazione dell'ironia (un potente antidoto all'ideologia) è: "solo uno dei modi, uno dei tanti, di renderci ciechi di fronte al potere strutturante della fantasia ideologica". All'interno di questo sistema, l'agire in un determinato modo, pur non credendoci, ma perché tanto è così che va il mondo, sottintende già una sottomissione  ad una fantasia ideologica che, come Pascal definiva "automa", Lacan definisce "l'automa, (la lettera morta) che trascina l'intelletto" grazie al circolo tautologico dell'autorità.

mercoledì 21 maggio 2014

La fantasia come supporto alla realtà

Questo tema può essere affrontato partendo dalla tesi lacaniana secondo cui è solo nel sogno che ci accostiamo all'autentico risveglio, cioè al reale del nostro desiderio. Esiste quindi sempre un nucleo compatto, un residuo irriducibile ad un universale gioco di riflessi illusori. La differenza tra la teoria lacaniana e il realismo ingenuo è che, per la prima, il solo ambito in cui ci approssimiamo a questo nucleo compatto del reale è il sogno, è solo in esso che abbiamo accesso alla cornice di fantasia che determina la nostra attività, il nostro modo di agire nella realtà stessa. 
Lo stesso vale per il sogno ideologico, la determinazione dell'ideologia come costruzione onirica che ci impedisce di vedere il reale stato delle cose, la realtà in quanto tale. Tentiamo invano di evadere dal sogno ideologico, di aprire gli occhi: come soggetti di questo sguardo post-ideologico, oggettivo e sobrio, liberi dai cosiddetti pregiudizi ideologici, come soggetti di uno sguardo diretto alle cose per come esse sono in realtà, rimaniamo comunque immersi nella coscienza del nostro sogno ideologico, il solo modo di spezzare il suo potere è di affrontare il reale del nostro desiderio che si annuncia in questo sogno. 
Prendiamo in esame l'antisemitismo. Non basta dire che dobbiamo liberarci dai pregiudizi antisemiti e imparare a vedere gli ebrei nella loro realtà, in tal modo rimarremmo sicuramente vittime di questi pregiudizi. Dobbiamo invece confrontarci con il modo in cui la figura ideologica dell'ebreo è investita dal nostro desiderio di inconscio, con il modo in cui abbiamo costruito questa figura per rifuggire una certa impasse del nostro desiderio. Ci basti ricordare quello che Lacan dice a proposito del marito patologicamente geloso: anche se tutti i fatti che richiama a sostengo della sua gelosia fossero accertati, anche se la moglie andasse veramente a letto con altri uomini ciò non cambierebbe di una virgola la natura della sua gelosia, che rimarrebbe comunque una costruzione patologica e paranoica. 
Non sarebbe possibile risolvere il pregiudizio antisemita con una dimostrazione del fatto che tale pregiudizio è falso, perché questo tentativo cadrebbe inascoltato o non farebbe altro che confermare tale pregiudizio, perciò la risposta appropria all'antisemitismo è che l'idea antisemita dell'ebreo non ha nulla a che vedere con gli ebrei, la figura ideologica dell'ebreo è un rimedio all'incoerenza del nostro sistema ideologico. Ecco perché la stessa esperienza quotidiana non può nulla contro il pregiudizio ideologico. Infatti fino a quando l'esperienza quotidiana fornisce una tale resistenza, l'ideologia antisemita non ci ha ancora veramente toccati, infatti l'ideologia ci tiene in suo potere solo quando non percepiamo alcuna opposizione tra essa e la realtà, cioè quando riesce a determinare la nostra esperienza quotidiana della realtà. Una ideologia ha veramente successo quando perfino i fatti che a prima vista la contraddicono s traducono in argomenti a suo favore. [L'oggetto sublime dell'ideologia, Slavoj Zizek 1989]

L'oggettività del credere


Partiamo dall'elementare formulazione marxiana del feticismo della merce: in una società in cui i prodotti del lavoro umano assumono la forma di merci, i rapporti essenziali tra le persone assumono la forma di rapporti tra le cose. Nel feudalesimo invece i rapporti tra persone sono mistificati, mediati da una rete di credenze e superstizioni ideologiche. Sono i rapporti tra il padrone e il servo, in cui il padrone esercita il suo carismatico potere di fascinazione sul servo e così via. Nel capitalismo i soggetti si considerano emancipati dalle superstizioni religiose e medievali, quando si relazionano tra di loro si comportano (o pensano di comportarsi, ndr.) come utilitaristi razionali, guidati unicamente dal principio egoistico. Il punto dirimente dell'analisi di Marx è che le cose (merci) credono al posto dei soggetti: è come se tutte le credenze e le superstizioni e le mistificazioni metafisiche, apparentemente superate dalla personalità razionale e utilitarista assumessero la forma tra rapporti sociali tra cose. I soggetti non credono più perché le cose credono al loro posto. E' in questo senso che è comprensibile la proposizione fondamentale di Lacan: contrariamente all'opinione comune secondo cui una credenza è qualcosa interiore e il sapere esteriore (nel senso che può essere verificato attraverso una procedura esteriore), è il credere a risultare radicalmente esteriore, incorporato nella condotta effettiva e pratica della gente. E' così che dobbiamo comprendere la fondamentale affermazione lacaniana secondo cui la psicanalisi non è una forma di psicologia: le credenze più recondite perfino le più intime emozioni, possono essere trasferite, delegate ad altri senza perdere in sincerità. Se ne possono fare alcuni esempi, come i mulini a vento tibetani, che pregano al posto mio, come il coro della tragedia greca, che prova dolore e compassione al posto nostro, o più precisamente, noi proviamo emozioni per mezzo del coro. Un esempio più vicino a noi sono le "risate in scatola" di certe serie televisive, dove ogni battuta è seguita da risate e applausi inclusi nel sonoro e che nel ruolo dell'Altro, incarnato nel televisore, ci sollevano dal dovere di ridire: ride al posto nostro. Dunque, anche se stanchi dopo una giornata di monotono lavoro, per tutta la sera non facciamo altro che sonnecchiare davanti allo schermo televisivo, possiamo riconoscere in seguito che, oggettivamente, per mezzo dell'altro ci siamo davvero divertiti. [L'oggetto sublime dell'ideologia, Slavoj Zizek 1989]


mercoledì 14 maggio 2014

Il cinismo come forma di ideologia

La definizione più elementare di ideologia è probabilmente racchiusa nella celebre proposizione del Capitale di Marx "Sie wissen das nicht, aber sie tun es" - "non sanno di far ciò, ma lo fanno". 
Al concetto di ideologia veniva quindi affiancato una sorta di costitutiva ingenuità: il misconoscimento dei suoi stessi presupposti, delle sue condizioni oggettive, una distanza, una divergenza tra la cosiddetta realtà sociale e le distorte rappresentazioni soggettive, la falsa scienza di tale realtà. Ecco perché questa "coscienza ingenua" può essere sottoposta alla prassi della critica dell'ideologia. Il compito di tale prassi è di guidare l'ingenua coscienza ideologica nel processo di disvelamento delle sue condizione affettive, la realtà sociale che sta formando, cosicché, attraverso questo atto, dissolva sé stessa.
Ma tale concetto di ideologia come coscienza ingenua vale ancora per il mondo odierno? Peter Sloterdijk avanza l'ipotesi secondo cui l'ideologia dominante sia essenzialmente cinica, il che rende impossibile, l'orientamento critico-ideologico classico. Il soggetto cinico è ben cosciente della distanza tra la maschera ideologica e la realtà sociale, ma nondimenno rimane fedele alla maschera. La formula precedentemente esposta, è stata quindi riformulata in "sanno benissimo quello ce fanno, e tuttavia continuano a farlo" [c'è da chiedersi se il sapere possa essere svincolato dal fare, ho sempre sentito il sapere privo di etica come una forma di non sapere, sentendolo una parola tesa al mantenimento dello status quo più che al suo miglioramento, una forma di parola priva di una vera intenzionalità]. La ragione cinica non è ingenua, in quanto incarna il paradosso di una falsa coscienza illuminata: sappiamo riconoscere la falsità, siamo del tutto consapevoli dell'interesse particolare che si cela dietro l'universalità ideologica, e tuttavia non siamo disposti a rinunciarvi. E' importante distinguere però il kienismo (il rifiuto popolare e plebeo della cultura ufficiale per mezzo dell'ironia  e del sarcasmo) con il cinismo, che ne rappresenta la risposta della cultura dominante. Quest'ultimo tiene conto dell'interesse particolare dietro l'universalità ideologica, la distanza tra la maschera ideologica e la realtà ma trova ancora valide ragioni per mantenere la maschera. Il cinismo non è una franca attestazione di immoralità, assomiglia più a una moralità messa al servizio dell'immoralità, il modello della saggezza cinica prevede che si concepiscano le probità e l'integrità come manifestazioni supreme di disonestà, la moralità come la massima forma di dissolutezza, la verità come la più efficace delle menzogne. Perciò il cinismo è una specie di perversa negazione della negazione dell'ideologia ufficiale: di fronte all'arricchimento illegale, alla rapina, la reazione cinica consiste nel dire che il profitto legale è ben più efficace e per di più tutelato dalla legge.
E' chiaro che, di fronte a questa ragione cinica, la tradizionale critica dell'ideologia non ha efficacia. Non è più possibile sottoporre il testo ideologico ad una lettura sintomatica. La ragione cinica stabilisce questa distanza fin dal principio. Siamo costretti quindi ad affermare che, con il regno della ragione cinica, ci troviamo nel cosiddetto mondo post-ideologico? Adorno definisce l'ideologia, come un sistema che avanza una pretesa di verità, e cioè non è semplicemente una menzogna, ma una menzogna esperita come verità, una menzogna che pretende di essere presa seriamente. L'ideologia totalitaria non ha più questa pretesa. Non è più previsto che sia presa sul serio, nemmeno dai suoi stessi fautori: il suo status è quello di un mezzo di manipolazione, puramente esterno e strumentale, il suo dominio è garantito non dal valore di verità, ma dalla mera violenza extra-ideologica e dalla promessa di un guadagno.
E' a questa altezza che dobbiamo introdurre la distinzione tra il sintomo e la fantasia per mostrare come l'idea secondo cui viviamo in una società post-ideologica procede un po' troppo velocemente: la ragione cinica, con tutto il suo distacco ironico, lascia intatto il livello fondamentale della fantasia ideologica, il livello sul quale l'ideologia organizza la realtà sociale. [L'oggetto sublime dell'ideologia, Slavoj Zizek 1989] 

Dal feticismo tra persone al feticismo della merce

Nell'attribuire la scoperta del sintomo a Marx Lacan individua questa scoperta nel modo in cui esso concepiva il passaggio dal feudalesimo al capitalismo. Centrale è la nozione marxiana di feticismo della merce, per la quale il valore di una certa merce assume la forma di una proprietà "quasi naturale" di un altra cosa-merce: il denaro". Diversamente dalla nozione classica del feticismo, che consiste nella sostituzione di persone con cose, nel feticismo della merce la si intende come il misconoscimento che riguarda il rapporto tra un sistema strutturato e uno dei suoi elementi: ciò che è in realtà un effetto strutturale, appare come una proprietà immediata di uno degli elementi, come se tale proprietà appartenesse a quest'ultimo al di fuori del suo rapporto con gli altri elementi.  Questa forma di misconoscimento può avvenire sia in un rapporto tra le cose come in un rapporto tra gli uomini. Nel rapporto tra persone lo si può riconoscere nel rapporto tra re e sudditi, in cui "essere re" è un effetto del sistema di rapporti sociali tra re e i suoi sudditi, ma per via del misconoscimento feticistico,  a chi prende parte a questo legame sociale le cose appaiono necessariamente in una forma rovesciata: essi pensano di essere sudditi perché il re è già in se re, al di fuori del rapporto con i suoi sudditi. Come se la determinazione "essere re" fosse una proprietà naturale della persona di un re. 
E' qui presente un parallelismo tra due livelli di feticismo, ed è ora cruciale stabilire l'esatta natura di tale rapporto, in particolare non vi è una omologia,: è impossibile dire che nelle società capitalistiche accade lo stesso sia con gli uomini che con le merci. E' vero proprio il contrario dove vi è un feticismo della merce i rapporti tra gli uomini non sono affatto feticizzati, in quanto consistono in interazioni tra persone libere ognuna delle quali persegue il proprio interesse egoistico.. Il modello è lo scambio di mercato: due soggetti si incontrano e il loro rapporto non è condizionato dalla venerazione per il signore., dalla sua condiscendenza e protezione nei confronti dei sudditi, essi sin incontrano come individui la cui attività è interamente determinata dall'interesse egoistico, che agiscono ciò da buoni utilitaristi.
Le due forme di feticismo sono quindi, non omologhe ma incompatibili: nelle società in cui regna il feticismo nei rapporti tra gli uomini, nelle società precapitaliste, il feticismo della merce non è ancora sviluppato, perchéè la produzione naturale e non la produzione per il mercato a predominare. Questo feticismo, nei rapporti tra gli uomini si richiama a relazioni di dominio e servitù, vale a dire nella relazione tra signoria e servitù. La scomparsa del signore nel capitalismo è soltanto una rimozione del signore, come la defeticizzazione nei rapporti tra persone è pagata contro l'emergere del feticismo nei rapporti tra le cose, nel feticismo della merce. il luogo del feticismo si è quindi solo spostato dai rapporti intersoggettivi ai rapporti tra le cose: i rapporti sociali fondamentali, quelli di produzione, non son o più immediatamente trasparenti nella forma dei rapporti di dominio e servitù perché sono mascherati sotto la forma dei rapporti sociali tra cose, tra i prodotti del lavoro.
Ecco perché è possibile rintracciare la scoperta del sintomo nel modo in cui Marx concepì il passaggio dal feudalesimo al capitalismo. Con l'affermarsi della società borghese i rapporti di dominio e servitù sono repressi, abbiamo a che fare con soggetti liberi cui rapporti interpersonali sono purgati da ogni forma di feticismo. Al contrario la verità repressa, quella del persistere di dominio e servitù, emerge nel sintomo che sovverte l'apparenza ideologica dell'uguaglianza e della libertà.
"Invece di apparire in ogni modo come loro rapporti personali, i rapporti sociali tra individui sono travestiti da rapporti sociali fra le cose: abbiamo qui una precisa definizione del sintomo isterico, dell'isteria di conversione propria del capitalismo." [L'oggetto sublime dell'ideologia, Slavoj Zizek 1989]

lunedì 5 maggio 2014

La struttura della rivoluzione (scientifica e non)

La discussione svolta ha indicato come rivoluzioni scientifiche quegli episodi di sviluppo non cumulativi, nei quali un vecchio paradigma è sostituito, completamente o in parte, da un nuovo incompatibile con quello. Considerando le vaste ed essenziali differenze esistenti tra lo sviluppo scientifico e quello sociale, quale analogia può giustificare l'uso della medesima metafora secondo cui avvengono rivoluzioni sia nell'uno che nell'altro campo?
Un aspetto dell'analogia dovrebbe essere già evidente. Le rivoluzioni politiche sono introdotte da una sensazione sempre più forte, spesso avvertita solo da un settore della società, che le istituzioni esistenti hanno cessato di costituire una risposta adeguata ai problemi posti da una situazione che esse stesse hanno in parto contribuito a creare. In modo più po' meno identico, le rivoluzioni scientifiche sono introdotte da una sensazione crescente, anche questa avvertita solo da un settore ristretto della comunità scientifica, che un paradigma esistente ha cessato di funzionare adeguatamente nell'esplorazione di un aspetto della natura. 
Sia nello sviluppo sociale, come nello sviluppo scientifico, è la sensazione di un cattivo funzionamento che può portare ad una crisi. 
L'analogia ha però un secondo e in più profondo aspetto da cui dipende il significato del primo. Le rivoluzioni politiche mirano a mutare le istituzione politiche in forme che sono proibite da quelle stesse istituzioni e il loro successo richiede perciò l'abbandono parziale di un insieme di istituzioni a favore di altre, e nel frattempo la società cessa completamente di essere governata da istituzioni. 
All'inizio è soltanto una crisi che indebolisce il ruolo delle istituzioni politiche, allo tesso modo che, come abbiamo visto, indebolisce il ruolo dei paradigmi. In numero sempre maggiore gli individui si allontanano sempre più dalla vita politica ufficiale e si comportano in modo sempre più indipendente. Quindi con l'approfondirsi della crisi, parecchi di questi individui si riuniscono intorno a qualche proposta concreta per la ricostruzione della società in una nuova struttura istituzionale. A questo punto la società è divisa in campi o partiti avversi, l'uni s'impegnano nel tentativo di difendere la vecchia struttura istituzionale e gli altri impegnano nel tentativo di istituirne una nuova. E una volta che tale polarizzazione si è verificata, la lotta puramente politica non serve più. Siccome differiscono circa la matrice istituzionale all'interno della quale va raggiunto e valutato il cambiamento politico, siccome non riconoscono nessuna struttura che stia al di sopra dell'istituzione, alla quale possano riferirsi per giudicare della differenza rivoluzionaria, i partiti impegnati in un conflitto rivoluzionari devono al fine far ricorso alle tecniche della persuasione di massa, che spesso includono la forza. Analogamente alla scelta fra istituzioni politiche contrastanti, la scelta tra paradigmi contrastanti dimostra di essere una scelta tra forme incompatibili di vita sociale.  Rappresentando una scelta tra forme incompatibili di vita sociale, la scelta non può essere determinata esclusivamente dai procedimenti di valutazione propri della scienza normale poiché questi dipendono in parte da un particolare paradigma e questo paradigma è ciò che viene messo in discussione. Quando i paradigmi entrano in un dibattito sulla scelta di paradigmi il ruolo ruolo è circolare. Ciascun gruppo usa il proprio paradigma per argomentare in difesa  di quel paradigma. Lo status dell'argomentazione circolare è sempre quello della persuasione. Esso non può essere reso logicamente o probabilisticamente convincente per coloro che rifiutano di inserirsi nel circolo. le premesse e i valori comuni ad entrambi i partiti impegnati nel dibattito sui paradigmi non sono sufficientemente estesi per avere questo effetto. Tanto nelle rivoluzioni politiche come nella scelta dei paradigmi non v'è nessun criterio superiore al consenso della popolazione interessata. Per coprire in che modo vengono effettuate le rivoluzioni scientifiche dovremo perciò esaminare non solo la corrispondenza tra natura e logica ma anche le tecniche di persuasione che hanno efficacia entro i gruppi abbastanza specifici che costituiscono la comunità scientifica.
Vi sono alcune ragioni che spiegano la incompletezza di contatto logico che caratterizza costantemente le discussioni sui paradigmi (sociali e scientifici). Ad esempio poiché nessun paradigma risolve mai tutti i problemi che esso definisce e poiché non succede mai che due paradigmi lascino irrisolti proprio gli stessi problemi, le discussioni sui paradigmi implicano sempre la stessa questione: Quali sono i problemi che è più importante risolvere? Analogamente alla disputa concernente i modelli contrastanti, la questione dei valori può trovare una risposta soltanto in termini di criteri che stanno completamente al di fuori della scienza normale, ed è un tale ricorso a criteri esterni che in maniera più evidente rende rivoluzionari i dibattiti sui paradigmi.  [La struttura delle rivoluzioni scientifiche, T. Kuhn 1961]

Estensionismo e riduzionismo nelle rivoluzioni scientifiche (appunti)

Ero partito nella lettura del testo “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” con l'idea che fosse possibile raggiungere una identità tra riduzionismo e quello che Kuhn definisce "scienza normale" e tra estensionismo e rivoluzione scientifica. Questo però è stato possibile solo in parte, infatti tra riduzionismo e mantenimento del paradigma c'è una forte associazione in quanto ogni conoscenza, per essere ammessa nella scienza normale, deve essere ridotta al paradigma accettato dalla comunità scientifica.
Però non mi appare assimilabile la rivoluzione scientifica con il movimento estensionista. Infatti, nel momento stesso in cui, un paradigma viene superato a favore di un nuovo, immediatamente si avvia quell'opera di riduzione all'uno del paradigma, e anzi, un paradigma può essere accettabile, e viene preso in considerazione, solo a patto che permetta quest'opera di riduzione. L'abbandono di un paradigma è mosso proprio dalla perdita della sua capacità di riduzione, in quanto appaiono sempre con maggiore frequenza fenomeni che non possono essere compresi al suo interno.
Nel rintracciare l'estensionismo nel modo di procedere della scienza, questo appare un movimento in gran parte privato, a differenza del riduzionismo della scienza normale e rivoluzionario che appaiono movimenti prevalentemente sociali.