La
debolezza cruciale dei lavori "post-strutturalisti"
dedicati fino ad oggi alla critica dell'ideologia, consiste nel fatto
che essi si sono limitati ad analizzare l'efficienza di una ideologia
esclusivamente attraverso il meccanismo dell'identificazione
immaginaria e simbolica. Infatti a prima vista potrebbe sembrare che
ciò che è attinente ad un'analisi dell'ideologia è soltanto il
modo in cui essa funziona nel discorso, il modo in cui la serie di
significati fluttuanti (democrazia, libertà, femminismo etc.) viene
totalizzata, trasformata in un campo unificato mediante l'intervento
di certi punti nodali (comunismo, liberismo etc.). Ma il caso del cosiddetto "totalitarismo"
dimostra ciò che vale per ogni ideologia, per l'ideologia in quanto
tale: ultimo sostegno dell'effetto ideologico, del modo in cui un
significato ideologico di significanti ci domina è il nucleo
insensato e preideologico di godimento.
Nell'ideologia non è quindi tutto ideologia, ma anche un surplus che è ultimo supporto dell'ideologia stessa.
Nell'ideologia non è quindi tutto ideologia, ma anche un surplus che è ultimo supporto dell'ideologia stessa.
Ecco
perché possiamo affermare che esistono due pressi complementari di
critica dell'ideologia:
-
Una è discorsiva, la lettura sintomale del testo ideologico che
produce la decostruzione dell'esperienza spontanea del suo
significato, cioè dimostra come un dato campo ideologico sia il
risultato di un montaggio di significati fluttuanti eterogenei e
della loro totalizzazione mediante l'intervento di certi punti
nodali.
-
L'altra mira ad estrarre il nucleo di godimento, ad articolare il
modo in cui un'ideologia implica manipola, produce un godimento
pre-ideologico strutturato nella fantasia.
Prendiamo
l'incarnazione dell'ideologia in quanto tale: l'antisemitismo. A
livello dell'analisi del discorso, non è difficile articolare il
sistema di sovra-determinazione simbolica investito nella figura
dell'ebreo. per prima cosa c'è lo spostamento, il trucco di base
dell'antisemitismo è di spostare l'antagonismo sociale su un
antagonismo tra il corpo sociale sano, e un esterno, l'ebreo quale
forza che lo corrode. Perciò non è la società in sé che è
impossibile, basata sull'antagonismo, al fonte della corruzione viene
individuata in un essere particolare, l'ebreo. Questo spostamento è
reso possibile dall'associazione tra ebrei e relazioni finanziarie:
la fronte dello sfruttamento e dell'antagonismo di classe viene
individuata non nel rapporto di produzione tra classe lavoratrice e
classe dirigente, ma nel rapporto tra le forze produttive e i
commercianti che sfruttano le classi produttive, sostituendo alla
cooperazione organica la lotta di classe. La figura dell'ebreo è un
sintomo nel senso di un messaggio in codice, cifrato, una
rappresentazione deformata dell'antagonismo sociale: smontando lavoro
di spostamento/condensazione possiamo determinarne il significato.
Ma
questa spiegazione non basta a spiegare come la figura dell'ebreo
catturi il nostro desiderio, ossia come l'ebreo entra nella cornice
della fantasia che struttura il nostro godimento. La fantasia è
sostanzialmente uno scenario che riempe lo spazio vuoto di una
fondamentale impossibilità, uno schermo che maschera il vuoto. Dietro di essa non c'è nulla e che questo nulla terrifico è proprio
ciò che questa fantasia maschera. Ora è chiaro come possiamo usare
questa nozione di fantasia nel campo della vera e propria ideologia:
anche qui non esiste alcun rapporto di classe, la società
è sempre attraversata da una frattura antagonistica che non può
essere integrata nell'ordine simbolico. La scommessa della fantasia
socio-ideologica è quella di costruire una visione della società che
davvero esista, una società che non sia fratturata da una divisione
antagonistica, una società in cui il rapporto tra le sue parti sia
organico, complementare. Come possiamo allora rendere conto della
distanza tra questa visione e la società effettivamente divisa dalle
lotte antagonistiche? La risposta è, ovviamente, l'ebreo: un
elemento esterno, un corpo estraneo che introduce la corruzione del "sano" tessuto sociale. In breve, l'ebreo è un feticcio che al
contempo nega e incarna l'impossibilità strutturale della società, è
come se la figura dell'ebreo questa impossibilità avesse acquistato
un'esistenza concreta, palpabile, ragion per cui esso segna
l'eruzione del godimento nel campo sociale. L'ebreo diviene il mezzo
per il fascismo di rendere conto della propria impossibilità, di
rappresentare, la propria impossibilità: nella sua presenza concreta
egli è solo l'incarnazione della definita impossibilità del
progetto totalitario, del suo limite immanente. L'intera ideologia
fascista è strutturata come una lotta contro l'elemento che prende
il posto dell'immanente impossibilità del progetto fascista stesso;
l'ebreo non è che l'incarnazione feticista di un certo blocco
fondamentale.
Perciò
la critica dell'ideologia deve invertire il nesso di causalità
percepito dalla sguardo totalitario: lungi dall'essere la causa
positiva dell'antagonismo sociale, l'ebreo non è che l'incarnazione
di un certo blocco, dell'impossibilità che impedisce alla società
di raggiungere la propria identità piena quale totalità chiusa e
omogenea. Lungi dall'essere la causa positiva della negatività
sociale, l'ebreo è un punto in cui la negatività sociale in quanto
tale assume un'esistenza positiva. In questo modo, riusciamo ad
articolare un'altra formula della prassi fondamentale della critica
dell'ideologia. Individuare in una data costruzione ideologica
l'elemento che al suo interno ne rappresenta l'impossibilità. Non è
l'ebreo che impedisce alla società di raggiungere la sua piena
identità, la sua stessa natura antagonistica; è il suo stesso blocco
immanente che lo impedisce, ed essa proietta questa negatività
interna sulla figura dell'ebreo. Ciò che è escluso dal simbolico (dalla cornice dell'ordine socio-simbolico corporativo) ritorna nel
reale come costruzione paranoica dell'ebreo.
Gli
ebrei rappresentano un sintomo sociale: sono il punto in cui
l'antagonismo sociale immanente assume una forma concreta, il punto
in cui diventa ovvio che la società non funziona, che il meccanismo
sociale scricchiola. Se lo osserviamo attraverso la cornice della fantasia l'ebreo appare come un intruso che porta dall'esterno
disordine, disintegrazione e corruzione dell'edificio sociale. Esso
appare come causa esteriore e concreta la cui eliminazione
permetterebbe di ristabilire ordine, stabilità e identità. Ma
attraversando il fantasma dobbiamo allo stesso tempo identificarci
con il sintomo: dobbiamo riconoscere nelle proprietà attribuite
all'ebreo il prodotto necessario del nostro stesso sistema sociale:
dobbiamo riconoscere negli eccessi attribuiti agli ebrei la verità
su noi stessi. [L'oggetto sublime dell'ideologia, Zizek]
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