giovedì 29 dicembre 2011

La misurazione grammaticale

La grammatica si misura attraverso alcune categorie morfologiche di verbi che Lai
ha identificato nelle seguenti:

1.Predicati afferenti all’io,
2.Predicati al modo infinito,
3.Predicati al modo gerundio,
4.Predicati ai modi indefiniti,
5.Predicati al modo condizionale,
6.Predicati al modo congiuntivo,
7.Predicati al tempo presente,
8.Predicati ai tempi passati,
9.Predicati al tempo futuro,
10.Predicati al tempo imperfetto,
11.Predicati in forma negativa,
12.Predicati introdotti dalla locuzione “come se”.

Il testo di Lai che ci presenta il quadro più aggiornato del Conversazionalismo è sicuramente La conversazione immateriale, testo che completa l’excursus Conversazionalista, inaugurato da La conversazione felice, proseguito con Conversazionalismo e che ha un’importante cornice in Disidentità. Ne La conversazione immateriale, Lai ci fornisce una serie di indicazioni di tipo
statistico in riferimento alle varie morfologie grammaticali, enucleando per le varie categorie grammaticali, tutta una serie di significati che danno ragione delle alte o basse percentuali di partenza delle suddette morfologie. Consideriamo le varie indicazioni che abbiamo tratto dai vari commenti di Lai lungo il testo sopra citato. Per comodità elencheremo le morfologie di maggior pertinenza per la nostra ricerca, raggruppandole in gruppi omogenei rispetto al significato attribuitogli. Vediamole brevemente:

- Predicati afferenti all’io. Questi predicati rafforzano la determinazione del soggetto(1995:30), vale a dire segnalano un atteggiamento decisivo verso i vari problemi che si pongono; viene sempre considerata positiva un’alta percentuale di predicati afferenti all’io. Di contro un’assenza prolungata di questa morfologia, definita “eclissi dell’io”, è considerata un’affezione del soggetto grammaticale, effetto di una minaccia al corpo mortale o di un qualsiasi stato di scacco dell’ io. Lai per quanto riguarda gli afferenti all’io definisce bassa una quota del 23%, mentre il 28% è già inserito nella parte medio-alta.
- Predicati ai modi infiniti, gerundi e indefiniti. Costituiscono l’altra faccia della precedente categoria; rendendo indeterminati i soggetti dei predicati e contribuiscono all’eclissi dell’io. Alte percentuali sono segnali negativi. Per i predicati al tempo infinito, il 19% è già considerata una quota alta; per i predicati al tempo gerundio Lai non da indicazioni; mentre per gli indefiniti, inizialmente definisce alta la quota del 19%, più tardi il 36% appare una percentuale intermedia, è quindi più attendibile un’successiva indicazione che segnala il 38% come considerevole.
- Predicati al tempo presente. Il presente è il tempo che lega il significato del verbo alla contingenza delle cose come stanno, impedendogli di spaziare in universi possibili. L’alta percentuale di presenti è indice dell’attività di un “copione” cui la condotta del paziente tende, o meglio, è costretta ad uniformarsi; il comportamento copionale segnala una sofferenza del soggetto: è, infatti la risposta cosiddetta alla domanda “come se ne esce?”. L’universo reale del presente è caratterizzato da una certezza: il corpo mortale soffre ed è destinato a morire; questa certezza pervade il presente e sicuramente i motivi narrativi - le abduzioni del paziente che cerca, ma non trova, risposta alla domanda “come se ne esce?. E’ considerato un buon risultato, per questo, il passaggio da alte a basse percentuali di tempi presenti, magari in favore dei predicati finzionali. In questo caso il paletto superiore è posto al 50%.
- Predicati al tempo passato. Come il presente, il tempo passato segnala la difficoltà di affacciarsi all’universo del possibile; questa volta però il significato del predicato è collegato alla necessità delle cose che sono accadute nel passato. Questo avviene quando i motivi narrativi centrali, le abduzioni del paziente, e soprattutto la domanda “come se ne esce?”, si riferiscono ad accadimenti o a stati di cose del passato così permeanti che condizionano tutta la vita del paziente. Come nel caso dei predicati al tempo presente, anche per i predicati al tempo passato è un buon segno una bassa percentuale; non è mai commentata una percentuale alta; il 7% è visto come una percentuale sicuramente bassa.
- Predicati al modo condizionale, al congiuntivo, al tempo futuro e introdotti dalla locuzione” come se”. Sono definite morfologie finzionali e sono le morfologie che Lai considera più positive perché segnalano una risposta alla domanda “come se ne esce”? Queste segnalano un ”estasi “dalla contingenza del presente e dalla necessità del passato, e soprattutto, l’apertura verso universi possibili diversi da quello reale, dove non c’è, rispetto a quest’ultimo, sofferenza, ma felicità. Per quanto riguarda queste morfologie, Lai stabilisce, per il futuro il 3% come alta percentuale; per il congiuntivo il 13%, come percentuale rilevante; e per i predicati al tempo condizionale la percentuale più alta trovata da Lai viene fissata al 13%. Per quanto riguarda i predicati introdotti dalla locuzione “come se” si definisce elevatissima la quota corrispondente al 12%. [Scritto senza titolo, anonimo]

mercoledì 28 dicembre 2011

Sulle convergenze fra struttura linguistica e temi narrativi.


Quello di oggi è solo un esempio di questo fenomeno che considero esaltante quanto enigmatico sulla natura del linguaggio e delle relazioni che intercorrono fra le sue parti. In allegato è presente un estratto di testo ripreso dal libro: Trattato del ciclo terapeutico, Mergenthaler, Casonato, 2009.
Tale estratto di testo descrive le variabili presenti nel modello del ciclo terapeutico: la quantità di astrazione, emozione ed stile narrativo. Fra queste mi preme evidenziare la definizione di stile narrativo che caratterizza quelle porzioni di testo in cui è presente un elevato livello immaginativo, tipico dei racconti, dei sogni, dei ricordi o di episodi significativi.
E’ singolare il fatto che proprio quella porzione di testo che spiega la definizione di stile narrativo sia caratterizzato da un picco di questa variabile (in figura rappresentata dalla linea sopra il grafico nei blocchi 4 e 5). Il tema del discorso è stato ereditato dalla struttura del discorso stesso, dove l'autore affronta il tema dello stile narrativo inizia ad utilizzare un registro linguistico caratterizzato da tale stile.
Giampaolo Lai a queste convergenze ha dedicato gran parte del suo lavoro come Conversazionalista. Tali convergenze però sono state rintracciate tra temi narrativi e struttura grammaticale. La medesima convergenza è stata trovata in questa sede, ma con metodologie di analisi completamente diverse. Quello che è stato proposto in questa sede è un dato di fatto il cui significato non mi è completamente raggiungibile.

lunedì 26 dicembre 2011

Un esempio di approccio grammaticale al trascritto

Accanto alle motivazioni prevalentemente concettuali, che giustificano il ruolo centrale dato all’analisi linguistica e ad altre motivazioni di natura più strettamente metodologica, mi preme evidenziarne ulteriori di ordine pragmatico. Per raggiungere questo scopo si propone un lettura delle morfologie grammaticali, secondo le metodologie evidenziate da Giampaolo lai di un piccolo estratto di trascritto presente nel libro La Conversazione Immateriale [Lai, 1995]. In particolare si vuole rilevare la frequenza dei pronomi di prima persona, gli io delle frasi, i soggetti grammaticali, rispetto ad altri nomi e pronomi. Verrà in un'altra occasione proposta un’analisi conversazionale costruttiva, per verificare da una parte la possibilità di arrivare alle medesime conclusioni, dall’altra di evidenziare come questa modalità di analisi, se pur più dispendiosa, permetta di rappresentare in modo più dettagliato come il soggetto si rappresenta una particolare scena che sta raccontando.

LUCIO: Dunque non so se si ricorda.
Mi sono tagliato un po’ i capelli, sono più o meno rimasti e io ero venuto due anni fa e avevo poi sospeso sono poi rimasto indeciso se fare qualcosa se non fare qualcosa la cosa si è poi trascinata e le avevo poi detto che avevo avuto una piccola operazione per un melanoma su cui mi avevano tranquillizzato dicendomi che tutto era a posto invece due mesi fa sono venuti fuori tutta una serie di linfonodi che hanno dovuto asportare e quindi la situazione adesso è un pochino grigia. E’ una metastasi del melanoma e purtroppo
Fatto sta che adesso mi hanno fatto mi stanno facendo una chemioterapia che dovrebbe finire tra un mese è un ciclo di sei mesi e allora da quanto ho capito non è una terapia particolare sicu, garanzie insomma cioè speriamo che non siano andate altre metastasi in giro e se ci sono andate speriamo che questa terapia le faccia fuori Se no
CONVERSAZIONALISTA: Mi dispiace
LUCIO: E allora alterno momenti di come può immaginare si come può immaginare, di , determinazione di speranza a momenti di ho paura di queste cose eccetera. [Lai, 1995, p.37]


Il motivo narrativo di questo breve brano si coglie in modo “Netto e tremendo”, come scrive l’autore, e si potrebbe riassumere in questa frase: se prima ero incerto tra fare e non fare, ora mi trovo di fronte alla possibilità di vivere o morire. Un motivo narrativo semplice e chiaro a disposizione non ambigua del Conversazionalista che avrebbe potuto restituirlo a Lucio nei tempi e nei modi suggeriti dalla sua sensibilità e dal suo tatto. Ma il Conversazionalista, mentre ascoltava in diretta le parole di Lucio, appare soverchiato: “come se l’orrore delle parole materiali pronunciate avesse bloccato la registrazione immateriale delle medesime parole. […] Il Conversazionalista, interamente catturato dalla materialità degli spazi acustici e dai motivi narrativi che ne originavano, legati direttamente alle parole materiali ascoltate, aveva visto momentaneamente interrotta la via di accesso alle morfologie grammaticali” [Lai, 1995, p.38-39].

Come si riscontra dal testo, in questo frangente il Conversazionalista si era mostrato incapace di qualsiasi restituzione. Aveva soltanto offerto il dubbio dono di una sua propria emozione articolata oltretutto in maniera sicuramente inadeguata. “Mi dispiace” è una formula adatta per rispondere a qualcuno che ti dice di avere appena preso una multa, ma non conviene come risposta ad un interlocutore che ti annuncia di avere metastasi in giro per il proprio corpo.
Adesso contrapponiamo una lettura delle morfologie grammaticali [Lai, 1995] alla lettura del senso del discorso che nella sua tragicità si mostra solo in grado di intralciare il lavoro dell’Analista Conversazionale come officiante e custode della conversazione. Collochiamo ciascun predicato del testo in una linea, i predicati afferenti all’io al margine estremo sinistro e i predicati con altre afferenze rientrati di cinque spazi. Abbandoniamo l’universo acustico della conversazione, dove le polifonie narrative e i sensi del discorso soverchiano la capacità di restituzione del Conversazionalista per entrare nell’universo visivo della conversazione immateriale, dove non è più il senso ad essere il padrone, ma dove la forma grafica e le geometrie grammaticali saltano all’occhio suggerendo una chiave di lettura diversa.

1. io non so
2. ricorda
3. io mi sono tagliato
4. sono rimasti
5. io ero venuto
6. io avevo sospeso
7. io sono rimasto indeciso
8. fare
9. non fare
10 è trascinata
11.io avevo detto
12.io avevo avuto
13. avevano tranquillizzato
14. dicendo
15. era
16. sono venuti
17. hanno dovuto
18. asportare
19. è
20. è
21. hanno fatto
22. stanno
23 facendo
24 dovrebbe
25 finire
26. è
27. faranno
28. speriamo
29. non sia
30. io ho capito
31. non è
32. speriamo
33. non siano andate
34. se ne sono andate
35. speriamo
36. faccia

Ispezionando visivamente tale analisi delle morfologie si riscontra, quasi subito, una distribuzione non omogenea dei predicati afferenti all’io, infatti, se nelle dodici linee vediamo alternarsi in equilibrio quasi perfetto predicati afferenti all’io e predicati con altre afferenze, dopo la linea dodici e fino alla fine, vediamo, tranne per una sola eccezione alla trentesima, scomparire i primi. La scomparsa dell’io all’interno del discorso del paziente, è resa ancora più suggestiva dal fatto che in linea 12 tuona: “avevo avuto una piccola operazione per un melanoma”. Da questo momento in avanti l’io viene soverchiato da un “Loro”, che: Avevano, Sono venuti, hanno dovuto, hanno fatto, stanno facendo, faranno. Come scrive Giampaolo Lai:

E’ difficile sottrarci alla suggestione, rafforzata certo dal modulo visivo di percezione, che dopo, aver pronunciato, nel nome di Lucio, la frase: “io avevo avuto una piccola operazione per un melanoma”, poi l’io rinunci al suo apparire nelle frasi per lasciare il posto agli altri, ai loro anonimi e impliciti, che dicono e fanno, asportano linfonodi e somministrano medicamenti al corpo mortale ormai nelle loro mani.” [Lai, 1995, p. 40-42]

Dall’analisi delle frequenza degli io nelle frasi, appare chiaro come il presentarsi nella scena del melanoma, di una affezione mortale di un corpo mortale, venga riflessa dalla scomparsa dell’agenticità, sia all’interno del racconto di Lucio, sia, ed è lecito ipotizzarlo, nella sua stessa mente. La paura della morte, trasforma Lucio, da soggetto che agisce, in dubbio tra il fare e non fare per i primi 12 predicati, ad oggetto che subisce, per i 24 predicati successivi, le manipolazioni di un loro impersonale, che dal passato al futuro sembra aver preso possesso del suo corpo. [Tesi Magistrale: Geometrie Grammaticali, Preziosi R, 2011]

Alcune osservazioni epistemologiche sulla struttura della teoria freudiana

La psicoanalisi possiede le seguenti caratteristiche peculiari

1. è composta da due parti la metapsicologia e la clinica
2. La metapsicologia si occupa della spiegazione, la clinica della giustificazione
La prima fa riferimento ad una prospettiva causalistica, la seconda ad una interpretativa.
4. La prospettiva causalistica ha come oggetto i processi mentali universali la prospettiva interpretativa si occupa dei contenuti mentali particolari
5. La sua giustificazione dipende dai successi terapeutici ottenuti sia dal grado di accordo dei dati clinici con la teoria.
6. I contenuti mentali diventano dati empirici solo nel momento in cui vengono interpretati alla luce della teoria
7. A sua volta la teoria è oggetto di giustificazione attraverso le evidenze empiriche interpretate

Vi è una certa tensione tra 6 e 7: esiste una circolarità viziosa tra teoria e dato clinico tale per cui gli assunti teorici da giustificare risultano essere gli stessi attraverso cui i dati vengono interpretati, diventando così materiale probatorio. In genere tale circolarità non si ravvisa nelle altre discipline scientifiche grazie al requisito di indipendenza del materiale probatorio. Tale requisito consiste nel considerare indipendenti le teorie osservative rispetto a quelle che sono oggetto di controllo. In altre parole la teoria che serve per interpretare i dati non deve essere la stessa di quella che si vuole giustificare. In biologia per esempio le leggi dell'ottica che regolano il funzionamento del microscopio sono indipendenti rispetto alle leggi della genetica che il ricercatore cerca di giustificare osservando un vetrino. In altri termini il biologo non si cura della giustificazione delle leggi dell'ottica in quanto esse sono parte degli assunti intersoggettivamente condivisi dalla comunità scientifica a cui appartiene. In psicoanalisi, le cose sembrano stare diversamente: il materiale probatorio non pare essere indipendente dalla teoria che si tenta di giustificare. Come già evidenziato tale materiale deve essere necessariamente interpretato alla luce della teoria, in quanto Freud non è principalmente interessato alle esperienze reali del soggetto ma al significato intrapsichico che egli attribuisce a esse nell'interazione con l'analista. In conclusione le osservazioni psicanalitiche risultano essere quelle che ci si prefigge di controllare. dunque pare che manchi un accordo intersoggettivo sulla validità delle teorie osservative che permettano di controllare adeguatamente quanto avviene nel setting clinico. ["Alcune osservazioni epistemologiche sulla struttura della teoria freudiana" Nicolò Gaj e Giuseppe lo Dico, 2008].

venerdì 9 dicembre 2011

Oggettività epistemica e oggettività ontologica.

Il linguaggio possiede una proprietà fondamentale che rende giustizia alla complessità dell’uomo e ai fenomeni che lo caratterizzano. Da una parte possiede la stessa soggettività ontologica tipica dei fenomeni psichici umani come l’emozione, il desiderio o la credenza e che li rende incommensurabili rispetto ai fenomeni che le scienze naturali solitamente affrontano, come il moto dei gravi o la composizione della materia che sono fenomeni ontologicamente oggettivi ed esistenti al di là dell’uomo. Ma caratteristica distintiva e che garantisce un ponte fra la soggettività delle emozioni, dei desideri e delle credenze e l’oggettività della composizione chimica di un cristallo è l’oggettività epistemologica della parola. Infatti ognuno è custode delle proprie emozioni, credenze e desideri; questi possono essere descritti ed intuiti fra una persona e l’altra, ma mai provati tali e quali fra due individui, mentre il linguaggio è un fenomeno umano che nella sua struttura e nella sua funzione viene pressappoco vissuto nel medesimo modo da tutti gli individui del mondo. Una parola può essere intesa in un'infinita molteplicità di modi diversi, ma è sempre l’identica stringa di parole e la stessa sequenza di segni, andandosi quindi a porre in mezzo fra l’evanescenza dei fenomeni psichici e la concretezza dei fenomeni fisici. [Creare il mondo sociale, Searle 2010].

mercoledì 7 dicembre 2011

Quattro spazi di rappresentazione

All'interno della linguistica cognitiva, prendendo piede dal paradigma adposizionale, è possibile classificare entro quattro categorie i gruppi morfemici proferiti da un parlante. Distinguendosi dall'approccio generativo-trasformazionale all'interno del paradigma adposizionale l'unità di analisi è il morfema o il gruppo di morfemi, intesi come la più piccola parte di un enunciato dotata di significato. La parola dunque così centrale all'interno della nostra cultura, che eredita tale centralità dalla tradizione giudeo-cristiana, è solo un gruppo morfemico particolare. Risulterà chiaro questo argomento confrontando un'espressione come Presidente della Repubblica, con presidente della commissione, nel primo caso ci troviamo di fronte ad un lemma unico, che al plurale si declina Presidenti della Repubblica, diversamente da presidenti delle commissioni dove ci troviamo di fronte a due lemmi separati (presidente e commissione). La diversità fra i due esempi appare evidente in Presidenti delle Repubbliche, in questo caso, i due lemmi sono stati declinati entrambi al plurale cambiandone il significato dell'espressione. La linguistica cognitiva, considera il linguaggio come espressione di facoltà cognitive di ordine inferiore, in questa sede non è possibile approfondire i lavori di Gallese e Lakoff sul ruolo dei neuroni mirror nell'integrazione multimodale. Basti sapere però che la distinzione percettiva fondamentale fra referenti e predicazioni appare riflessa all'interno del linguaggio dove troviamo due classi di gruppi morfemici, stativi e verbanti, che rappresentano il parallelo linguistico di oggetti e azioni. Stativi e Verbanti da soli, sostengono tutta l'impalcatura di una lingua, e per questo sono definiti Reggenti. Per potenziale le capacità espressive di una lingua però troviamo altre due classi di morfemi, chiamati Modificatori, in quanto modificano e arricchiscono l'aspetto e le caratteristiche degli oggetti e delle predicazioni espresse attraverso gruppi morfemici Stativi e Verbanti. Avremo quindi i gruppi morfemici Aggiuntivi, modificatori degli stativi, e i gruppi morfemici Circostanziali modificatori dei Verbanti. A questo punto sono stati presentati i quattro caratteri grammaticali fondamentali alla base della struttura morfosintattica di una lingua. [Analisi Conversazionale Costruttiva, Gobbo, 2011]


Reggenti

Modificatori

Verbanti I

Circostanziali E

Stativi O

Aggiuntivi A


Roma antica cade rovinosamente

Reggenti

Modificatori

Cade = I

ε Rovinosamente = E

ε Roma = O

ε Antica = A

Segni, Significato, Senso e Rappresentazione

Il senso di un nome proprio è qualcosa che viene subito afferrato da chi conosca sufficientemente la lingua. Per “segno” o “nome” intendo qui una
qualunque indicazione la quale compia l’ufficio di nome proprio, il cui significato cioè sia un oggetto determinato Ci troviamo dunque indotti a concludere che, pensando a un segno dovremo collegare a esso due cose distinte: e cioè, non soltanto l’oggetto designato, che si chiamerà “significato di quel segno”, ma anche il “senso del segno”, che denota il modo come quell’oggetto ci viene dato.
I rapporti che normalmente intercorrono fra il segno, il suo senso, e il suo significato sono questi: a un dato segno corrisponde in genere un senso determinato, e a questo corrisponde di nuovo un significato determinato; invece a un dato significato (cioè ad un dato oggetto) non corrisponde sempre un unico senso. Anche a un dato senso non corrisponde un unico segno: esso infatti viene espresso in modi diversi nelle diverse lingue, e talvolta persino nella stessa lingua.
Dal significato e dal senso di un segno va poi tenuta ben distinta la rappresentazione che lo accompagna. Se il significato di un segno è un oggetto
percepibile coi sensi, la rappresentazione che ho di esso è invece una mia immagine, originatasi dal ricordo sia delle impressioni sensoriali da me provate sia delle attività, tanto interne quanto esterne, da me esercitate. Al medesimo senso non si collega sempre la medesima rappresentazione, neanche nella stessa persona. Essa è poi eminentemente soggettiva variando da uomo a uomo. Questo fatto distingue in modo essenziale la
rappresentazione, non solo dal significato, ma anche dal senso di un segno; il senso non costituisce invero, come l’immagine anzidetta, qualcosa di inscindibile dal singolo individuo, ma può formare il possesso comune di molti. Che sia così, ce lo prova l’esistenza di un patrimonio di pensieri comuni all’umanità, patrimonio che essa trasmette di generazione in generazione. Il significato di un nome proprio è l’oggetto che noi indichiamo con esso; la rappresentazione che ne abbiamo è invece completamente soggettiva. Fra l’uno e l’altra sta il senso, che non è più soggettivo come la rappresentazione, ma non coincide nemmeno con l’oggetto stesso Per chiarire i loro reciproci rapporti può essere forse utile la seguente similitudine.
Preso un cannocchiale astronomico, esaminiamo il processo con cui, per mezzo di esso, viene osservata la Luna. La Luna è l’oggetto di osservazione; questa osservazione è resa possibile dall’immagine reale prodotta entro il cannocchiale dall’obiettivo e dall’immagine retinica che si produce nell’osservatore. Orbene: è facile cogliere una certa analogia fra la Luna e il significato, l’immagine prodotta dall’obiettivo e il senso, l’immagine retinica e la rappresentazione o intuizione. E invero: mentre la Luna è l’oggetto reale nella sua completezza, l’immagine prodotta dall’obiettivo è soltanto unilaterale, poiché dipende dal punto di osservazione; malgrado ciò è oggettiva, potendo servire a parecchi osservatori. La si può, in ogni caso, accomodare in modo che molti si valgano di essa nel medesimo istante. Ciascuno ha invece la sua propria immagine retinica. Persino una congruenza geometrica fra le varie immagini retiniche sarebbe a stento raggiungibile, a causa della diversa conformazione degli occhi; una coincidenza effettiva di esse resta poi comunque esclusa. ["Senso e significato" Frege, G. 1982]

Le operazioni di costruzione

Una delle ipotesi sulla semantica è che questa sia concettualizzazione. Questa ipotesi mette in crisi l’idea che la semantica sia puramente verocondizionale, infatti esistono molteplici modi diversi di strutturare le situazioni. Ad esempio le diverse costruzioni come “il mio papà”, papà o padre trasmettono all’ascoltatore diverse concettualizzazioni della relazione tra parlante e il padre del parlante pur essendo equivalenti dal punto di vista verocondizionale. Come vedremo tutti gli aspetti dell’espressione grammaticale di una situazione chiamano in causa, in un modo o nell’altro, la concettualizzazione, comprese la morfologia flessiva e derivazionale e anche le parti del discorso fondamentali. Ritengo importante evidenziare una affermazione di Croft che esplicita in modo magistrale tale concetto: “Ogni volta che pronunciamo una frase, strutturiamo, a livello inconscio, tutti gli aspetti dell’esperienza che intendiamo comunicare.” In altre parole ogni costruzione alternativa di un’esperienza nel termine papà ci dice qualcosa sulla struttura di quell’esperienza che l’altra costruzione, padre, non ci dice. Ambito e limiti della concettualizzazione possono quindi essere riassunti in tre principi generali . Il primo è che la concettualizzazione è funzionale ai fini comunicativi degli interlocutori. I parlanti concettualizzano la propria esperienza in base ai loro scopi (che possono essere manipolativi, come nella comunicazione politica o cooperativi). Di fatto ciò significa che la concettualizzazione è molto flessibile: una data esperienza può essere concettualizzata in molte maniere diverse. Il secondo principio è che la natura della realtà limita la concettualizzazione o per lo meno ne favorisce alcune rispetto ad altre. Infine il terzo principio è che le concettualizzazioni sono limitate dalla convenzione culturali di una certa comunità di parlanti.[Linguistica cognitiva, Croft W., Cruse D. 2004]

Le parole come metri di automisura

Occorre distinguere tra i risultati delle conversazioni e nelle conversazioni (S1 T S2). T può essere un intervallo di tempo X fra due atti linguistici ma anche il tempo che intercorre tra due conversazioni. (S1 e S2) . Questi risultati si producono tutti in universi extratestuali, siano questi sugli oggetti mentali dove abitano pensieri decisioni o intenzioni oppure siano questi nell’universo degli oggetti psichici, dove abitano emozioni e sentimenti. Infine avvengono anche nell’universo degli oggetti fisici, corporei, biologici dove abitano la stanchezza la spossatezza, il dolore. Di questa tripartizione degli universi extratestuali preme evidenziare la distinzione fra oggetti mentali e psichici contro gli oggetti fisici, distinzione che ha un peso rilevante nella pratica di analisi conversazionale, dove quando le proposizioni quando afferiscono al soggetto grammaticale lo costituiscono dandogli forma e sostanza, mentre quando afferiscono al corpo mortale, questo ne è il termine ultimo, diversamente dal soggetto, che è punto di partenza.
L’universo extratestuale (mentale, psichico e fisico) è collegato però all’universo testuale attraverso il riferimento delle parole del testo medesimo che nella conversazione materiale parla delle emozioni, dei pensieri, intenzioni e afflizioni del corpo mortale con le parole che a questi stati mentali extratestuali si riferiscono. Se i risultati materiali sono oggetti extratestuali, per misurarli occorrono strumenti materiali extratestuali ma cosa sono le parole? Nella sua storia la parola è stata sempre vista in posizione ancillare, come descrizione del mondo oppure funzione della mente, della psiche e dell’anima. Successivamente le parole vennero intese come azioni per far accadere cose, non venivano solo viste come descrizione ma nella loro funzione performativa.
Dunque sempre rimangono in posizione ancillare le parole. Le parole erano ancelle dell’altro, del fondamento che le faceva esistere, del riferimento che dava un senso o delle intenzioni che le muovevano. Ma un ultimo modo di intendere la parola, all’interno del dispositivo concettuale e pratico del conversazionalismo, è considerarle in funzione di sé medesime. Parlano di sé e null’altro. Le parole riferendosi solo su di se si riferiscono solo so all’universo testuale, e ai suoi oggetti che sono le parole. In altri termini le parole sono misura nel loro universo testuale di rifermento, che è l’universo dove abitano. Le parole misurano sé medesime. Le parole sono metri di automisura [La conversazione Immateriale, Lai, G. 1995]