Il senso di un nome proprio è qualcosa che viene subito afferrato da chi conosca sufficientemente la lingua. Per “segno” o “nome” intendo qui una
qualunque indicazione la quale compia l’ufficio di nome proprio, il cui significato cioè sia un oggetto determinato Ci troviamo dunque indotti a concludere che, pensando a un segno dovremo collegare a esso due cose distinte: e cioè, non soltanto l’oggetto designato, che si chiamerà “significato di quel segno”, ma anche il “senso del segno”, che denota il modo come quell’oggetto ci viene dato.
I rapporti che normalmente intercorrono fra il segno, il suo senso, e il suo significato sono questi: a un dato segno corrisponde in genere un senso determinato, e a questo corrisponde di nuovo un significato determinato; invece a un dato significato (cioè ad un dato oggetto) non corrisponde sempre un unico senso. Anche a un dato senso non corrisponde un unico segno: esso infatti viene espresso in modi diversi nelle diverse lingue, e talvolta persino nella stessa lingua.
Dal significato e dal senso di un segno va poi tenuta ben distinta la rappresentazione che lo accompagna. Se il significato di un segno è un oggetto
percepibile coi sensi, la rappresentazione che ho di esso è invece una mia immagine, originatasi dal ricordo sia delle impressioni sensoriali da me provate sia delle attività, tanto interne quanto esterne, da me esercitate. Al medesimo senso non si collega sempre la medesima rappresentazione, neanche nella stessa persona. Essa è poi eminentemente soggettiva variando da uomo a uomo. Questo fatto distingue in modo essenziale la
rappresentazione, non solo dal significato, ma anche dal senso di un segno; il senso non costituisce invero, come l’immagine anzidetta, qualcosa di inscindibile dal singolo individuo, ma può formare il possesso comune di molti. Che sia così, ce lo prova l’esistenza di un patrimonio di pensieri comuni all’umanità, patrimonio che essa trasmette di generazione in generazione. Il significato di un nome proprio è l’oggetto che noi indichiamo con esso; la rappresentazione che ne abbiamo è invece completamente soggettiva. Fra l’uno e l’altra sta il senso, che non è più soggettivo come la rappresentazione, ma non coincide nemmeno con l’oggetto stesso Per chiarire i loro reciproci rapporti può essere forse utile la seguente similitudine.
Preso un cannocchiale astronomico, esaminiamo il processo con cui, per mezzo di esso, viene osservata la Luna. La Luna è l’oggetto di osservazione; questa osservazione è resa possibile dall’immagine reale prodotta entro il cannocchiale dall’obiettivo e dall’immagine retinica che si produce nell’osservatore. Orbene: è facile cogliere una certa analogia fra la Luna e il significato, l’immagine prodotta dall’obiettivo e il senso, l’immagine retinica e la rappresentazione o intuizione. E invero: mentre la Luna è l’oggetto reale nella sua completezza, l’immagine prodotta dall’obiettivo è soltanto unilaterale, poiché dipende dal punto di osservazione; malgrado ciò è oggettiva, potendo servire a parecchi osservatori. La si può, in ogni caso, accomodare in modo che molti si valgano di essa nel medesimo istante. Ciascuno ha invece la sua propria immagine retinica. Persino una congruenza geometrica fra le varie immagini retiniche sarebbe a stento raggiungibile, a causa della diversa conformazione degli occhi; una coincidenza effettiva di esse resta poi comunque esclusa. ["Senso e significato" Frege, G. 1982]
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